Wednesday, January 03, 2007

La scomparsa del Natale



Una delle grandi paure degli americani è che qualcuno rubi loro il Natale. Perché Santa Claus (non propriamente o semplicemente la nascita di Gesù), in fondo è roba loro. Perché il Natale e l'America sono fatti della stessa pasta. Qualsiasi American Tune è situato in uno spazio ideale che permette di accordarsi e di reggere una melodia natalizia, per scavarci dentro un canto di Natale, per ospitare un cameo natalizio, o viceversa.
E' come se la tonalità prediletta dai Pilgrim Fathers imponesse di accordarsi con i canti natalizi, una sorta di legge non scritta, che in qualche modo tutti riconoscono.
L'ambiente statunitense è in generale quanto di più natalizio si possa pensare, se si considera che la California o il Texas possono rimandare ai luoghi originari, ma in generale, le città americane, col vestito di Natale, fanno la loro bella figura. Il Natale è la festa che meglio si sposa con l'amore naturale che gli americani nonostante tutto quello che dicono o fanno conservano per la famiglia. I colori prevalenti si intonano alla perfezione con la Festa e quello che manca lo aggiungono le decorazioni delle case (all'interno e all'esterno), alcune decisamente kitsch altre veramente spettacolari: pensate a un presepe in vetro trasparente in movimento davanti a una casa). La neve, quella non deve mancare, anche se quest'anno, essendo venuta prima, ed essendo prevista per dopo, per Natale si è presa le ferie. Ciò che penso forse è che se la Pasqua è culturalmente più valorizzabile in Europa, gli Stati Uniti e forse l'America intera, il Continente appena venuto al mondo, è intrisa dell'atmosfera del Natale. Ma è una considerazione che vale quello che vale. Su questa base, è importante quanto segue.

Gli Stati Uniti, l'ho già detto nel mio primo post, da una settimana prima del Natale hanno un'unica colonna sonora, e le melodie natalizie non ti lasciano mai. Alcune sono geniali incroci di genere, altre sono al limite nenach' io so di che cosa: pensate alla canzone nella quale il bambino scopre che mamma bacia Babbo Natale e rimane sconvolto per questa sorta di adulterio? incesto? arrivando però in qualche modo ad intravvedere la somiglianza tra suo padre un po' più grasso e Santa Claus. A parte i contenuti, comunque, forse da nessuna parte succede che tutt'a un tratto Britney Spears e Hillary Duff, Michael Jackson ed Eminem cedano il passo per una settimana: di fatto non lo fanno, perché incidono il LORO album di canti natalizi (tutti, direi, tranne Eminem). Quando i testi sono in inglese, il risultato è spesso significativo, un po' marziano se Bing Crosby o Dean Martin o Mariah Carey cantano Adeste Fideles in latino.

Quanti film di Hollywood ricordiamo che hanno un tema natalizio, o si svolgono a Natale; dal giorno del ringraziamento, i comics sui giornali subiscono una brusca sterzata e Natale diventa il polo d'attrazione, nel bene o nel male, della narrazione (ricordate le lettere di Natale di Sally Brown? ma anche Garfield, Dilbert, The Far Side, Blondie e Dagoberto, Calvin & Hobbes sono implicati nel caso. Molto diverso è il Natale di TinTin o di Mafalda; anche Topolino e i Muppets si sono adeguati, da queste parti). Detto questo, è un fatto che gli americani hanno paura che gli rubino il loro Natale (il Grinch), che un'altra festa si appropri di Santa Claus (The Nightmare Before Christmas), e quanti, come Linus, confondono Gesù Bambino (almeno nei primi decenni dei Peanuts), con il Grande Cocomero, beh, sono dei settari sovversivi.
Se ci pensate, il Natale che, in mancanza di meglio noi affidiamo a Boldi e/o De Sica, in giro per il mondo (quest'anno, se non sbaglio, nella Grande Mela), è lo spazio dell'eroismo, del contatto di Dio con l'uomo, la venuta degli angeli, il mondo che si capovolge: vi ricordate La Vita è meravigliosa o più recentemente The Family Man o Un amore tutto suo? Le grandi finzioni che portano ai grandi cambiamenti da questa parte del mondo avvengono a Natale, e di solito riconciliano Dio, il matrimonio, lavoro, la famiglia, la comunità e il senso generale della vita... e magari cambiano la vita. C'è gente che a Natale cambia vita: è un fatto, e per questo il Natale è questione di vita o di morte.

Eppure per paura di perderlo, lo statunitense ha inconsciamente seminato il seme della zizzania natalizia assieme a quello dell'abete e del vischio. E poco a poco, senza che nessuno se ne renda conto, l'alberello ha perso la sua forza magica, taumaturgica, lenitiva, riconciliante, per lasciare il posto a...

Quest'anno, negli Stati Uniti, non c'è stato il Natale. Nessuna chiamata al 911 (ricordate la data dell'attentato alle torri gemelle? 911 è il numero nazionale per le emergenze, che tradotto in giorni americani recita undici settembre).

Mi si perdoni se ribatto con apparente irriverenza. Nessuno schianto di aerei e grattacieli. E niente da segnalare ai controlli aeroportuali. Nemmeno un trafiletto sul NY Times o sul Post; vi ho detto, mi pare, che il Bambinello è stato rappresentato, le campanelle tintinnano, le slitte corrono ancora felici. Nonostante tutto, Natale quest'anno non è arrivato, Natale negli USA: ho fatto gli auguri a molte persone, nella settimana tra il 25 e il 31 e la gente mi ha squadrato, realmente stupita. E dire che andare in giro in macchina con i più classici e i più strampalati canti di Natale mi aveva entusiasmato. Eppure il Grinch era stato definitivamente sconfitto (mi sono informato, non ci sarà un sequel, la Zucca non ha divorato la capanna..., nel frattempo ci avevano lasciati nell'ordine l'ex-presidente Ford (sempre destinato a essere subito oscurato) da James Brown e poi da Saddam Hussein (ma questa non è una storia di Natale, e forse un giorno, quando sarò in grado, vi dirò qualcosa in proposito). Quanto al Natale, Oh! Oh! Oh!, , direbbe qualcuno, dove è finito?

Le tracce mi conducono al locale Mall, dove qualche giorno fa ero stato accolto da musichette natalizie che si prolungavano dalla mia Camry fin dentro all'enorme paradiso che nei suoi vari cieli prende il nome di Wal-Mart, HallMark, BestBuy... al contrario del Natale, non ero io a portare, secondo la tradizione, il mio regalo al bambino, come imparato a catechismo, piuttosto ero io a riceverlo il regalo: meglio tardi che mai, è proprio vero che gli Americani sono avanti in tutto. E all'inizio, ricevevo un simpatico omaggio, elettronico, sfizioso o candito. La capanna intanto era mutata in un capannone e tutto era for free, che è il modo americano di dire gratis. E che significa veramente gratis. Da noi le cose o sono dei doni oppure, se sono gratis ma non amore Dei, sono una fregatura. No, il cappellino da baseball me lo regalavano per davvero, il libro di successo pure...

Avvolto dalla musica, varcavo la soglia e qui, per un solo dollaro (e che sarà mai un dollaro, meno di un euro!), potevo comprare un gadget che avevo sempre sognato, chessò la penna stilografica con l'inchiostro tridimensionale, o un set per giocare a basket sulla scrivania dello studio... e poi i mug, cioè le tazzone per il caffè, il te, e quant'altro, con i peanuts, garfield, la caricatura di Bush e altro..., i mug hanno un fascino quasi ipnotico. A quel punto, con due sogni in tasca per un solo dollaro, ero entrato nel sistema natalizio. La musica andava ancora, di sottofondo, solo che mi si era scombinato qualcosa all'altezza del cuore, o dello stomaco, e quel qualcosa metteva a tacere la mia testa... a quel punto, i miei organi interni registravano un salto mortale e cominciavano imperiosamente a chiedere agli occhi e questi al cervello e questo al collo e il collo al resto del corpo di muoversi, di cercare qualcosa che servisse loro, non importa che cosa, tanto con tutte quelle offerte mica saremo andati in bancarotta e poi è bello regalare cose agli altri... il portafoglio, meglio ancora la carta di credito, apparivano disponibili a donarsi spontaneamente, la seconda soprattutto senza provare dolore ("la cosa più dolorosa dello shopping natalizio è firmare assegni, perché non provare la tal carta di credito?" recitava il cartello fuori dal Mall"); separato dal mio corpo monetario, al quale mi sarei ricongiunto alla casa o mentalmente anestetizzato da quel cartellino magnetico indolore eppur così pieno di promesse), avevo varcato le porte automatiche del centro commerciale possedendo me stesso e le mie facoltà, con un contatto di sicurezza con le mie finanze personali, pur esigue, mentre adesso navigavo tra marshmallows (in italiano, toffolette) al caramello e affascinanti set di pesca d'altura, indeciso su che cosa mi servisse di più per l'anno che veniva. Che mi servissero o mi piacessero era oramai fuori da ogni ragionamento. Altro che velo d'ignoranza. Avrebbero dovuto gettarci addosso una coperta, spegnere la luce e riempirci di botte per farci recuperare la mitica razionalità illuministica.
Insomma, un po' aveva ragione Pavlov, quello dei cani, che qui si pronuncia Skinner, che del cane ha il nome, almeno Pavlov fa più padrone. Con tutto il rispetto per i cani. E poi Pavlov non le sapeva tutte. Per esempio che se metti alcuni particolari oggetti uno vicino all'altro, essi acquistano una grande capacità di richiamarsi l'uno con l'altro. Cioè c'è una logica nell'associare piccole cose (che ricorda molto la psicosi dello scommettitore), una moglie può aiutare o portare alla rovina, perciò non è detto che tutti arrivino alla fine del gioco, cioè comprare a rate una mega-macchina, una falciatrice computerizzata o sposare una bellona di Reno (Nevada): non ho visto scaffali per quest'ultimo articolo, ma forse ho saltato qualche passaggio. Insomma, se i grandi imperi sono nati da un cent risparmiato, come mi aveva insegnato il bistrattato Paperone, un cent mi stava costando, senza accorgermene, la mia intera autorappresentazione antropologica: cioè ero un insieme di desideri fluttuanti, che rimbalzavano verso piccole cose, che, aggiunta l'IVA del 6% e messi assieme, facevano la felicità dei cassieri e del mio diavolo custode, che alla fine mi sussurrava beffardo: "Tanto Natale viene solo una volta l'anno!". (Mamma, non ti preoccupare, non ho fatto niente del genere, ma lo sforzo è stato grande, sto risparmiando per la serie completa di Happy Days in dvd; però chi non ha un obiettivo saldo come il mio, facilmente soccomberà all'impero dei piccoli desideri).

E così è arrivato il giorno 25, che per non equivocare, non chiamerò Natale, il giorno dello scambio dei regali. In fondo, la cosa meno importante di tutte, perché sai già quello che riceverai e non hai aspettative oppure non te l'immagini e allora devi aspettare l'indomani...



... giorno 26, il giorno in cui il Mall scoppia perché la gente torna indietro per cambiare i regali, in buona parte perché non gli sono piaciuti, perché non gli servono a nulla, perché era tutto il frutto di uno psicodramma collettivo, oppure perché quel regalo era quello giusto, ma nel giro dei cambi e dei ribassi, magari potevi scambiarlo con uno migliore. Sono tornato per curiosità al Mall su suggerimento di un amico ("vai a vedere, vedi che ti diverti!"). Una folla! E per un dollaro ti beccavi una cosa che due giorni prima ne valeva 50! La musica rimaneva in sottofondo, lo spirito era più battagliero (bisognava accaparrarsi le migliori occasioni, arriva all'apertura e keep the line!) e comunque le cartoline con gli Auguri di Natale, che da buon italiano all'estero avrei comprato dopo Natale a prezzo ribassato erano già state rimosse. Se salutavo con un Merry Christmas, che senso poteva avere rispondere ai miei auguri di Natale, dopo che i regali erano stati restituiti? In Italia rimaneva comunque un Bambino da accudire, qui solo carta da buttare e l'indomani lavorativo (al limite, una vacanza, parola che a differenza della festa richiama un certo vuoto.

La festa dei poveri desideri bizzarri era passata, l'unica è rassegnarsi e attendere il nuovo anno. L'unica cosa da dire è che la Festa che continua era diventata una festa che finisce e che la mia psiche (o il mio spirito) ne avevano risentito, ero rinato a una nuova vita. Mi si perdoni l'ironia, o il sarcasmo... ma effettivamente questo Natale è giunto come dovrebbe ogni Natale, imprevisto, e mi ha cambiato forse più di tanti Natali precedenti.


Capisco allora perché John Grisham si è preso un sabbatico dai suoi legal thriller, per scrivere tre bei libri, uno sulla famiglia e sulla casa, uno sulla scuola e il football, e una deliziosa commedia che si intitola da noi "Fuga dal Natale", qualcosa che forse, imitando la famiglia Krank, in futuro dovremo tentare pure noi.

Per il nuovo anno americano, che arriva sei ore dopo il nostro, almeno in questo siamo avanti, le poche parole che si merita: povera commemorazione! Non mi ha mai attratto molto, forse perché non mi entusiasmano i fuochi d'artificio, ma quest'anno, sarà perché ingloba una determinata concezione del tempo, o perché ti spinge a ripensare la tua vita e a ricominciare, sapendo che sicuramente non non manterrai i tuoi propositi, ma forse stavolta sì, insomma mi ci sono un po' affezionato. Forse è l'età. Qui l'anno nuovo, dato anche che ci sono diversi fusi orari e quindi gli anni arrivano "sfusi": che senso ha vedere il conto alla rovescia a Times Square se a Los Angeles sono ancora le 22.00?, si riduce a una coreografica citazione di un conto alla rovescia che potrebbe accadere in qualsiasi istante della storia del mondo, e a cui non seguono ripensamenti o cambiamenti, solamente pubblicità e magari una registrazione di una partita di football e le ultime nuove dall'Iraq.

Quindi, quest'anno sarei stato in credito di un Natale, se un amico non mi avesse invitato nel bel mezzo del nulla dell'Indiana (ecco, mi si dirà, la solita America conservatrice e rurale, stereotipo che ha una sua storia, una sua verità, e qualcosa di sbagliato), assieme a una valanga di parenti che venivano da tutti gli States, compresa gente proveniente dai quartieri alti delle grandi città, con un bel mucchio di regali in mezzo e una serie di numeri tirati a sorte: chi partiva per primo sceglieva un regalo, il secondo poteva pescare dal mucchio oppure chiedere il regalo di chi lo aveva preceduto e così via... a poco a poco si creavano strategie, personali o familiari, per raggiungere i propri obiettivi. Il bambino che non voleva la torcia a forma di ippopotamo e che faceva di tutto per sottrarre alla zia i soldatini e io con la mia faccia stupita o forse ancora di più perché una signora quarantenne per ragioni di stato mi aveva sottratto la tazza dei Peanuts col pupazzo di Snoopy, per poter arrivare con un giro complicato di alleanze al te thailandese... alla fine ho recuperato la tazza, e ho guadagnato pure una magnifica cravatta con tutti i personaggi di Schulz, che indosserò alla mia prima lezione in Italia e una maglietta di Charlie Brown, cioè quella gialla con le strisce a zig-zag.

Certo, una grande famiglia che si riunisce (e poi rimane a parlare fino a tarda notte, dopo la Messa di mezzanotte, anche se non tutti hanno partecipato), è fatta di gente che non si vede tutto l'anno, che oggi in America ha la stessa coesione in certi casi dei pezzi di lego, che è fatta di famiglie acquisite, di divorzi, di... problemi; e che quindi di anno in anno è un po' rimaneggiata nel suo ordine. Con i problemi di chi, di solito la parte funzionante della famiglia deve gestire, di tizio che non deve vedere caio, di sempronio che deve essere invitato perché è un ex-marito... e del fatto che appaiono d'un tratto nuove aggregazioni familiari, comprensive di relatives e animali inattesi. Un po' come il Natale di About a boy, per chi si ricorda il film con Hugh Grant. In ogni caso, si ricomincia a parlare, si vede qualcosa che non si percepisce stando gli uni a Chicago e gli altri a Boston... e alla fine la gente finisce serena e contenta, più costruttiva. Non è la fortuna di tutte le famiglie, però nel cuore di tante realtà americane c'è qualcuno che fa da collante e che poco a poco riporta la gente a parlarsi, a trattarsi, a risentirsi. No, Natale è arrivato, in buona parte degli States, credo, e non siate pessimisti come i Krank.
Questo è il Natale degli States, un Natale che grazie a Dio e in mancanza di rappresentazioni religiose (quelle americane sono rare, ma deliziose, per il resto si ondeggia tra l'insipido e il cattivo gusto), un natale che per il momento scorre sotterraneo e che non fa rumore, proclamando la fine dei tempi né commemora il suo funerale: strano per la festa di una nascita, no?

Mi rimane impresso il sorriso stanco della nonna, unica rimasta della sua generazione, che guardava tutta quella gente, che ho accompagnato a Messa e che improvvisamente la domenica seguente ci ha lasciati, riunendo di nuovo l'intera famiglia da tutte le parti degli States, perché qui si prende un aereo e si va, proprio come nei film. Oggi, a Messa, ho pregato per questa tranquilla e calma signora e solo ragioni burocratiche mi hanno impedito di partecipare al funerale.

Una sola immagine negativa mi è rimasta in mente di quella sera, ed è quella di un bambino figlio, collocato all'intersezione di due matrimoni sfasciati. Era l'unico a cercare freneticamente il maggior numero di regali e allo stesso tempo visibilmente il più insoddisfatto nel possederli. Non è retorica, ma quel bimbo urlava nel suo silenzio che gli dessero il Suo Natale, il suo miracolo. La sua bisnonna, un giorno, forse lo accontenterà, dubito che al Mall gli restituiscano il Natale perduto, anche se lui ha raccolto più regali di tutti: certe cose, purtroppo, non funzionano in questo modo.

Felice anno nuovo dagli States e allo stesso tempo, Buon Natale.


Good Night and Good Luck



Marco



Le immagini sono nell'ordine Norman Rockwell, rispettivamente
Discovery, e Christmas Rush, e ovviamente di Charles M. Schulz

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