Saturday, January 27, 2007

2007 Spring Time on Campus (Live)

L'educazione in America, The Vault e le braghette di Paris Hilton


Due febbraio, Groundhog Day, giorno della marmotta. Nel 1993, lo spocchioso giornalista Bill Murray (alias Phil) si risveglia in un motel di Punxsutawney, al suono ineluttabile di I Got You Babe di Sonny and Cher, per scoprire di essere rimasto intrappolato nel tempo, meteorologico e fisico, di una minuscola città della Pennsylvania; qui, come conclusione di una delle trame più geniali e irritanti della storia del cinema, avrebbe finito per abdicare alla sua piaggeria per sposare l'affascinante Andy McDowell. È uno dei tanti incubi/sogni che affascinano Hollywood e gli americani.







Lo spunto è questo: la marmotta (alias Phil) fa tradizionalmente capolino dal suo buco in quell’impronunciabile sperduto sito della provincia americana il 2 di febbraio di ogni anno. Se vede la sua ombra sulla neve, si spaventa e ritorna dentro la tana, il che significa sei settimane in più di cattivo tempo. Viceversa, arriva la primavera sulle note della Pennsylvania Polka.

Giusto per completezza, ieri, secondo il sito ufficiale dell'evento (http://www.groundhog.org/prediction/), Phil ha dichiarato quanto segue


Phil Says Spring is Right Around the Corner!

Phil's official forecast as read 2/2/07 at 7:28 a.m. at Gobbler's Knob:

El Nino has caused high winds, heavy snow, ice and freezing temperatures in the west.
Here in the East with much mild winter weather we have been blessed.

Global warming has caused a great debate.
This mild winter makes it seem just great.

On this Groundhog Day we think of one thing.
Will we have winter or will we have spring?

On Gobbler's Knob I see no shadow today.
I predict that early spring is on the way.



Ma quando mai! Quest’anno, il Chicago Tribune aveva parlato dell’ “inverno più caldo nella storia degli Stati Uniti”: due mesi di bel tempo dopo la tempesta che all'inizio di dicembre ha fatto chiudere tutti gli aeroporti del Midwest, Natale senza neve e così via… Ma per la marmotta la vendetta è un piatto da gustare freddo, anzi surgelato. E con le sue dichiarazioni, il roditore aggiunge al danno le beffe!


Qui lo chiamano (ironia della sorte) Spring Semester, l'unica cosa che so è che da quando è iniziato, ha cominciato a nevicare e la temperatura si è assestata a -19° C : il fatto che in Fahrenheit siamo ancora aggrappati per un misero grado sopra lo zero, non toglie che qui si mangi neve dappertutto, perché oramai è alta, ti arriva da tutte le direzioni, e a poco a poco penetra dentro al cervello, e ti impedisce di pensare: sarà per questo che si definisce una persona la cui attività razionale è pari a zero, con il termine blank? E le previsioni dicono che la settimana prossima la passeremo abbondantemente sotto le suole del dottor Fahrenheit. E di brutto. Tutta colpa del lago Michigan. Meno male che il Super Bowl stasera è a Miami.

Se le scuole sono chiuse (in parte anche perché i bus drivers guidano da paura), l'università in compenso funziona a meraviglia: dato che l'accesso alle auto in questa zona è molto limitato e le strade sono ancora "spalabili", il campus offre un immacolato biancore (la neve non diventa poltiglia sporca, né si scioglie): solo si accumula, giorno dopo giorno, come le stalattiti sotto le grondaie. L'impressione è particolarmente strana. Nonostante la Svizzera, le Alpi, Cervinia, non avevo mai visto tanta neve in pianura e un tale inesorabile cadere e accumularsi. Pare che ci sia un fenomeno psicologico, conosciuto nel campus, per cui, prima dello Spring Break, gli studenti e i professori cadono in un torpore assolutamente non reattivo, si limitano a mangiare e a rimanere al caldo a guardare la neve che fiocca, vicino al camino. Quanto agli scoiattoli, quelli che dovrebbero andarsene a dormire, loro girano tranquilli per il campus e, se li avvicini, magari ti mordono pure.

Che cosa ci hanno insegnato? Cip e Ciop in letargo? Ma quando mai... E gli altri animali? un mio collega, texano, mi dice che i serpenti laggiù, nomi che da soli contengono veleno come crotalo, minacce sonore o metaforiche come il serpente a sonagli (rattlers), il serpente dei cinque passi o dei sette secondi, sono assolutamente innocui, al massimo provocano qualche allergia. Insomma, poco piu che bisce. Un amico, appena tornato da Miami, mi ha raccontato delle sue esperienze sulla barriera corallina al bordo della piscina atlantica. Il suo fisico, abbondante, lo rende una preda appetibile per qualsiasi vivente carnivoro che bazzica sott’acqua, ma lo squalo che dice di avere incontrato non se l'è filato manco di striscio; assieme a una signora e ai suoi bimbi si è divertito a guardare una branco di barracuda, quelli che una volta si mangiavano una mucca (sempre e invariabilmente quel bovino) in due minuti (mai un secondo in più o in meno). Probabilmente, in fondo al mare, ti danno lezioni sui Nutrictional Facts degli umani, oppure ti insegnano che la loro dieta li rende grassi ma immangiabili. Però, la manta che ha incrociato si era probabilmente dimenticata gli aculei a casa... insomma, Tex, Sergio Leone, John Wayne: tutte stupidaggini. Aspetto solo che mi dicano che gli alligatori e i piranhas siano i migliori amici dell'uomo. Anni e anni di biologia, di geografia... una cospirazione antianimalista che incrementa il senso di paura nel quale, secondo Michael Moore, siamo immersi ad opera delle Corporations. In altre parole, attenti ai cani e ai gatti, ai canarini e ai pesci rossi: sono loro che guidano la strategia neo-imperialista. E io, in una reviviscenza di antichi hobbies, nutro una nidiata di Betta Splendens, non si sa mai.



Ma torniamo al frutto maturo dell'evoluzione, cioè noi, gli animali razionali, in particolare in questo caso all'homo sapiens americanus communis, analizzato nell'habitat del campus universitario, in fase preletargica.


Una collega in dolce attesa mi informa del dibattito che agita la sua famiglia, a due settimane dal parto (delivery, la stessa parola che si usa per consegnare la pizza, 20 minuti per farla, dieci per consegnarla, un fumetto abbastanza noto ha fatto una simpatica serie di strips giocando sull'equivoco): siccome qui la gente si sposa anche durante gli anni del college, capita di incontrare diverse "pance" in giro per il campus, e quindi i nomi dei bambini sono nella top ten delle discussioni più impegnate. Nel caso in questione, a contendersi la bimba in vista del traguardo sono rimasti due partiti, da un lato i favorevoli a Courtney (tra cui il papà) e dall'altro i sostenitori di Paris, cioè il partito della mamma. Di recente l'Observer, il quotidiano ufficiale del campus, ha pubblicato un “sondaggio tra cinque studenti” che facevano Paris Hilton a pezzi, ma come il socialismo, il nome piace, indipendentemente dalle sue realizzazioni pratiche. Tra i cento nomi di maggiore successo dello scorso anno negli US, i primi sono rispettivamente, per le bimbe Grace e per i bimbi Aidan. La lista comprende tuttavia un notevole numero di nomi ebraici, dove Ethan, Noah e Caleb (tre nomi perfetti per il nonnino con la voce stridula che si vede nei western) spiccano tra i primi cinque; tutta l’ampia gamma dei nomi irlandesi, molti cognomi usati come first names: Logan, Parker, Carter, Kennedy (quest'ultimo, per le ragazze); ci sono poi stati e città, tutti al femminile (Savannah, Brooklin, Peyton, Dakota, Madison, Montana – v’immmaginate l’effetto psicologico di ritrovarsi un giorno “Basilicata”? certo ci sono sempre le abbreviazioni, Basi, Silica, Cathy); ci sono anche nomi inattesi come: Hunter (cacciatore), Maddox (che sa di medicinale per lo stomaco), Brody (al maschile), mentre nei prossimi anni diverse bimbe risponderanno a chi le chiamerà Alyssa, Aaliyah, Cadence (!), Skylar, MacKenna; ci sono nomi impegnativi come Trinity, Faith, Hope (ma non c'è né Love, né Charity…). Ci sono tutti gli evangelisti tranne Mark. L'unico nome italiano è Gianna, ma credo sia una storpiatura. In ogni caso, ci si salva con le abbreviazioni: i cinque colleghi del mio dipartimento fanno assieme sedici lettere. Il nome completo viene usato solo dalle mamme per rimproverare i figli: "William Washington Armstrong, guarda che hai combinato!?" Certo, ti aspetteresti Oprah, Nicole, Hillary, George... e invece mancano all'appello proprio le celebrità. Ma delle celebrità parleremo più avanti. Se volete togliere loro un po' di magia, traducete i loro nomi: chi sono Giacomo Bruno, Tommaso Matasse,
Daniele Bruno, Roberto Speranza, Giuditta Ghirlanda,
Giacomo Sarto, Paolo Simone, Gianni Guado, Antonio Regina, Tommaso Crociera, Renzo Uccello, Sara Sasso, Edoardo Patata, Laura Fattoria, Stefano Rondone, Bobo Guglielmi? Fascino della lingua inglese!

E, a proposito di celebrità, aspettatevi per il 2007 il terzo figlio di Julia Roberts (che si aggiunge ai gemelli Hazel e Phinnaeus, in fondo lei in italiano suona Giulia Roberti, carino), il terzo figlio di Tiger Woods (poeticamente, Tigre dei Boschi) e il primo di Lindsay Davenport (divano), tutti previsti per giugno.

E così non mi stupivo nell'incontrare Brianna, Delaney, Reagan, Mackenzie, proprio faccia a faccia nelle due lezioni che ho tenuto alle matricole (freshman) nel campus. Niente di che, una semplice sostituzione, un favore a un amico. Devo dire, ma ho ricevuto autorevoli conferme dagli indigeni, che l'immagine dell'aula era molto simile a quella di un primo anno di liceo: avete in mente "Goodbye, Mr. Holland", giusto per capirsi? Una mamma mi ha spiegato: "di fatto il liceo è fatto per divertirsi, you know, kind of getting drunk, making silly things, e poi le High Schools qui sono molto diverse tra loro, quindi il college all'inizio almeno serve a mettere tutti alla pari, gente che viene da scuole diverse, da stati diversi": tra cui Alaska, Hawaii, Idaho, Texas. Maine...

Entrambi i motivi mi sembrano ragionevoli, e spiegano molte cose: innanzitutto perché di fatto il curriculum, che implica uno o più majors e uno o più minors, può comprendere (assieme) materie di ingegneria, medicina, filosofia, letteratura irlandese antica, economia, e alla fine risulta che sei un pre-med, e ti mandano in Messico (honest!, che è il modo più candido per dire "lo giuro, credetemi") col titolo di doctor e un camice e magari salvi anche qualche vita, avendo studiato solo biologia generale e chimica, ma non sapendo niente di anatomia, patologia o quant’altro sappia di umano.

A proposito, vi ricordate che nelle ultime serie di Happy Days, Fonzie insegnava al liceo e di fatto non era chiaro quando Richie, Potsie e Ralph avevano lasciato l'high school per il college? Certo, questo non vale dappertutto, ma se volete una divertente caricatura (ma non tanto), della media dell'educazione scolastica negli USA, dovete affittare il dvd di Napoleon Dynamite, lo trovate anche in Italia, ma dovete almeno vederlo due volte perché la prima visione vi sembrerà assurda. L'hanno fatto loro, cioè gli Americani, non è cosa nostra. Nessun malvagio pregiudizio europeista.

La materia per cui supplivo, Introduzione alla filosofia I, era divisa (sulla base di una pura casualità burocratica) in due classi, assolutamente indipendenti tra loro ed entrambe composte di 31 freshman di entrambi i sessi (strano: nessuna rivendicazione delle freshwoman, in un’università in cui rappresentare alcuni famosi monologhi del secolo scorso è diventato un punto d’onore e di conflitto).

Ecco la mia piccola esperienza. In entrambe le classi la scena era la stessa e uguale copione e protagonisti.

1. Una piccola montagna umana, in ultima fila, con scarse capacità linguistiche, ma in compenso membro della squadra di football, e siccome qui si parla degli Irish, cioè uno stadio di 100.000 posti, deve essere uno che sa il fatto suo in materia (sportiva): il sistema lo costringe a studiare filosofia per poter rimanere in squadra (basta pensare al ragazzo di colore che suonava il tamburo nella banda della scuola di Mr. Holland per poter giocare nella squadra di football? Morirà in Vietnam... tra l'altro). L’atteggiamento dello studente era “mi scusi se sono qui, ma non è colpa mia"
2. Una fila più avanti, al centro, c'è quello che si sente il più figo (
cool) del mondo, e che cerca di dimostrarlo rumoreggiando in tutti i modi possibili, facendo il verso al prof., in modo da disturbare la lezione e/o attrarre l’attenzione del
3. la biondina dallo sguardo vacuo, che maschera 20kb di intelligenza, e che si trova una riga davanti, nella fila accanto; sugli occhi, il sorriso e tutta la dotazione di default della fanciulla, niente da dire, sembra che sia stata catapultata lì direttamente dal palco di Miss Ohio: mi sembra che lei “non giochi” a sembrare scema, ma chi può entrare dentro un neurone?
4. in prima fila c'è il
nerd con i vestiti smessi e gli occhiali, che ci azzecca tutte le risposte e alla fine ti fa le domande a cui non sai rispondere
5. accanto a lui, la ragazza dal sorriso solare, che però di filosofia non ne vuole sapere nulla, annuisce come se capisse tutto, viene alla fine della lezione e ti demolisce con una domanda del tipo: ma Platone era cattolico?
6. Alla sinistra della cattedra, due ragazzi che hanno perso da tempo ogni speranza di capire la lezioni, uno prova
a prendere appunti stoicamente (paradossalmente lui non sa che cosa significa, anche se parliamo di filosofia antica) , l’altro si dedica alla rappresentazione pittorica del corpo femminile, nascosto sotto il cappuccio della felpa, entrambi in posizione quasi orizzontale sulle rispettive sedie.
7. Sul lato opposto, lo studente
random, capace di qualsiasi cosa con ottime intenzioni (per esempio, alzarsi per andare alla lavagna e scrivere quello che "lui" a un tratto ha capito, a beneficio della classe e senza che nessuno gliel’abbia chiesto).

Attorno a questi personaggi fissi, ruotano i due tipi umani fondamentali del gregario e del
solitario, o se volete, in gergo filosofico, del comunitario e dell'individualista, che riempiono i vuoti, fino al numero di 29, generalmente bravi, ben educati, magari qualcuno ha indosso il pigiama e viene in pantofole direttamente dal dorm. Rimangono due, probabilmente i più intelligenti, un ragazzo e una ragazza, invariabilmente collocati a sinistra la ragazza (le ragazze tendono sempre a stare a sinistra del prof.) e a destra il ragazzo; il loro limite è che sono timidissimi, per carattere o per provenienza geografica. Ho l'impressione che sarebbero fatti l’uno per l’altro se non fossero atterriti dall’idea di incrociare lo sguardo.

Discutendo col mio collega, il giorno dopo, riusciamo subito ad individuare di chi stiamo parlando, pur non essendo stati presenti allo stesso tempo nella stessa classe (lui era out of town, ragion per cui io ero lì); il che sembra mostrare che esistono due leggi, la prima che porta alcuni caratteri a distribuirsi topograficamente nello stesso modo (legge “dell’ultimo in fondo”, vale dalla prima elementare in poi) e la seconda per la quale il posto acquisito nella prima lezione non si può più cambiare: non siamo da Val-Mart.

Questo è il mondo ancora grezzo dei freshmen, che l'anno prossimo diventeranno sophomores, i cui vestiti logori appariranno quando saranno juniors, e che compiranno la loro evoluzione nel sapere e il declino parallelo nel vestiario come seniors. Si saluteranno infine dopo quattro anni come graduates. Da qui inizia quella che è propriamente l'università, ma si tratta di una materia difficile e, di fatto, cito una fonte autorevole "qui a Notre Dame chi veramente è l'università sono gli undergrad". Quindi mettiamo da parte Grad Students, Law School, Medical School e quant'altro.

Ora, è bene sapere che, se l’high school è l’infanzia del liceale americano, il college, o almeno i primi due anni, per quanto detto sopra, ne è l’adolescenza, per cui come ogni adolescente, il giovin studente cerca di manifestare la sua forza e il suo valore, opportune et importune, attraverso le due arti dell’eroe greco: la dialettica e la forza, in poche parole, il conflitto verbale e scritto (legge e giornalismo) e lo sport. Qui oramai sono state raggiunte le pari opportunità, se si esclude che ai ragazzi è data l'esclusiva del football, mentre alle ragazze spetta quasi totalmente (nessuno si stupisca) l'appalto del cheerleading (cioè di sostenere la squadra a bordo campo, con canti appropriati, accompagnati dalla banda).

E quindi due punti sembrano importanti. Le attività di studio e quelle extracurriculari.

Il filo rosso che lega le prime tra loro e con le altre è il duello (ricordate Mezzogiorno di fuoco?): lo studente americano appena può alza la mano e ti chiede qualcosa ("Posso fare una domanda? Shoot, spara, risponde il prof.), centrando quasi sempre il punto in questione. HAi davanti "la domanda più veloce del Midwest". e pensi per un momento, che la scuola di Atene posso rinascere a nord di Indianapolis. È anche vero che se gli fai una contro-domanda, scopri enormi voragini d'ignoranza: poco importa, chi possiede tutto lo scibile? "L'importante, con la conoscenza, è saperla usare": è il principio fondamentale di Google e del pragmatismo americano. Ci sarà sempre un'area dello scibile in cui sarai Idiot, senza l'assillo del liceale generalista europeo (che non si vede, ma fa capolino nel cervello italiano quando meno te l'aspetti), vivi sereno e al momento giusto colmerai la lacuna. L'unico problema reale è con gli studenti che non vogliono colmare la lacuna, ma semplicemente battagliare per il gusto di farlo. Quelli sono veramente indisponenti. Sono i giovani volenterosi e spavaldi che nei western si beccano subito la loro pallottola oppure, se sono stupidi e cattivi, vi scagliano contro la loro ghenga da sobborgo. Sono pochi, per fortuna, e in fondo, l'epica della didattica americana è proprio la conquista di questi soggetti. Ci sono riusciti Sidney Poitiers, Michelle Pfeiffer, Sean Connery e, varie volte, Robin Williams.

Nel frattempo, comunque, il duello tra il docente e lo studente è dichiarato e la classe si divide automaticamente in pro, contro e scommettitori. Lo studente, subito dopo la lezione, andra a comprarsi il suo "Nietzsche for Dummies" o cercherà aiuto in Wikipedia. Il suo motto è la preghiera di un asceta americano, “God, make me patient, but hurry!". Una volta stabilito che Giuliano l'Apostata non è Giustiniano, la battaglia può ricominciare: il primo touchdown è tuo, ma la partita è lunga. E le regole sono fisse, sia che si tratti di ragazzi che di ragazze: perché in entrambi batte il cuore del vecchio West. Che ha regole precise. Basta leggere Don't Squat With Yer Spurs On! A Cowboy's Guide To Life, di Texas Bix Bender. Lì è riportato il Codice del West: "Scrivilo nel tuo cuore. Restagli fedele, e lui ti rimarra fedele. Ti domandera e ti dara sempre onestà, coraggio, lealtà, generosità e giustizia".

In questa battaglia coraggiosa e leale, si sa che "non c'è mai stato un cavallo che non è stato domato, ma neanche un uomo che non sia stato buttato giù dalla sella", che "la lunghezza di una conversazione non dice nulla del volume del cervello" e che "non importa chi l'ha detto, non puoi crederci se e' assurdo". Invece, "i giudizi saggi vengono dall'esperienza, e molta esperienza proviene da giudizi sbagliati", per cui "parla piano, parla lentamente, e non dire troppo". Allo stesso tempo, "non arrabbiarti con chi ne sa piu' di te: non e' colpa sua". Con questa e altre regole di saggezza e di comportamento, alla fine ti troverai davanti, non importa se veste una felpa slavata o porta le infradito, la faccia impassibile di un giocatore di poker, la sicurezza di un cacciatore di taglie, che nasconde un segreto, che può essere la sua salvezza o la sua fine. Ogni americano di carattere conserva in fondo all'anima l'enigma di Humphrey Bogart dietro le strette fessure azzurre di Clint Eastwood. Poco importa se e' una ragazza.

Il giornalismo è il duello condotto con altri mezzi; è la grande attività culturale e l’aspirazione di ogni giovane idealista americano, che nasce avvocato e/o giornalista. L’incrocio di giornalismo e legge o il giornalismo investigativo è uno dei piatti favoriti serviti dal cinema americano. E il college è il posto dove, almeno le prime due attività possono essere svolte in maniera fine a se stessa, divertendosi, for their own sake, come si dice, e senza fare troppi danni. Purtroppo, l’avvocato e il giornalista, una volta fuori dal campus, diventano gli individui con la peggiore reputazione nel paese, dovuta in buona parte al cinismo necessario per farsi strada tra la folla; c'è una serie infinita di film sul tema: Prima pagina, Eroe per caso, Mr. Deeds, solo per citarne alcuni. Gli avvocati sono uno dei bersagli di una delle più argute strips del momento, Non sequitur. Per alcuni di loro bisognerebbe riesumare i vecchi Bounty Killers. Certo, se non vuoi essere uno squalo, puoi sempre fare la fame come avvocato pro bono, e morire di fame a Brooklin con tanto di diploma della Harvard Law School, oppure essere l'eroe dei romanzi di Grisham o il protagonista di storie vere come quella Edward R. Murrow. Però è dura forte.

Rimango dell'idea, al momento, che la funzione del college, almeno qui e almeno per i primi due anni, sia quella di colmare le lacune, dare forma a un educazione nazionale, forse solo gli ingegneri devono subito cominciare a studiare sul serio (pero' poi guadagnano, subito e sul serio), e acquisire un certo spirito di corpo, che in qualche modo riesca a modificare la struttura antropologica dei Wimps e dei Barbarians e delle loro controparti femminili (per questa distinzione, rimando ai due articoli di Terrence Moore, Wimps (smidollati) and Barbarians e Heather's Compromise, molto acuti anche se forse con qualche cliche' un po' scontato sul ruolo del sesso debole nella societa'; sono disponibili anche su Internet, basta cercare con Google).

Nei suoi contenuti, l'educazione di base americana, con una trama familiare decisamente in crisi (magari ne parliamo un'altra volta), sembra che non sappia che pesci prendere, almeno nelle humanities. Riporto quanto scrive Chris Spellman, sull'Observer della scorsa settimana, con una brillante argomentazione che fa serenamente il punto della situazione.

"It's a common scene early in the semester: students at their computers, shuffling around their classes, sometimes dropping a course or adding another. In an attempt to fulfill the University literature, music or history requirement, a student will scroll through the course descriptions searching for an interesting, or - at the very least - easy, class. It was through this search that a friend alerted me of certain disconcerting choices being offered to fulfill those requirements.

One such class fulfilling the literature requirement in the English Department is called "Decadent Modernity" (ENGL 20405). A glace at the course description reveals that the course aims "to explore visions of decadence spanning the last two centuries and more." Students are instructed to "bring a tolerance for the grotesque and for authors who deliberately challenge deeply held Western attitudes about morality and values." Several "literary texts, visual arts and modern cinema" are to be considered, but the "conceptual groundwork" is to be laid with Freud and Nietzsche.

I choose this particular class - there are several others - because I feel it well exemplifies many of the humanities courses being offered at universities across the nation. These courses appeal to students' anti-authoritarian tendencies to draw them, ironically, to a not particularly tolerant, alternative orthodoxy. "Sticking it to the man," as some have put it, does not necessarily imply liberation, for what if the new "man" who replaces the old one brings even worse tyranny?

There must always be a "man," an authority, and those who claim to free us from all authority in reality bind us to their own. Yes, rejecting traditional values sounds enticing, but this proposition raises an important question: what new set of values will replace the old ones we are so emphatically encouraged to abandon?

(...) An education such as this, of course, prepares us, in a strange but certain way, to be the leaders of the Twenty-First century, to carry on the torch -there was a torch somewhere, wasn't there? - and, in general terms, to achieve the new, recasted American dream: becoming filthy rich without getting caught."



Come al solito, non basta qualche aforisma per traghettarci serenamente al di la' del bene e del male. E quindi si finisce quasi sempre per rimanere in mezzo al guado, se non nelle sabbie mobili.
L'America sta ultimando le scorte di una trasgressione pregressa di cui è stanca e che l'ha messa alle corde. Uno dei vantaggi del college è che ha ancora la possibilità di reggere l'insufficienza carenza di buona parte dell'attuale generazione docente, a giudicare almeno dai programmi. Il college, con le sue attività extracurriculari (bande, sport, orchestre, cori, attività di solidarietà), ma soprattutto per la sua struttura intrinseca di socializzazione e di impegno, ha le potenzialità per permettere ai giovani studenti che ho dipinto prima di superare i limiti educativi, ma soprattutto, può essere l'opportunità per ricostruire una trama di legami significativi che molti ragazzi oggi non hanno dietro di loro.

Con buona pace di mia nonna, non mi ha mai entusiasmato l'idea di una "ginnastica di regime" e non amo molto le manifestazioni in cui la dimostrazione della forza fisica deve dimostrare il valore di una causa politica. Troppo spesso finisce rimane una dimostrazione di forza senza nessun contenuto, e la forza, senza obiettivi, può finire per far male. Qui però non parlo del valore politico della ginnastica, che ispira all'ordine, all'obbedienza, al senso di autorità... forse e' cosi', a me però non convince.
Mi pare di vedere qui qualcosa che mi sembra diverso, che riguarda la vita quotidiana di quei ragazzi che mi sono ritrovato in classe e che non condividono una fede politica comune, ma un modo di vivere insieme. La cosa bella del college è che ti trovi a vivere, obbligatoriamente in alcuni casi, per due anni, certe volte separato/a dalla tua famiglia, anche se studi nella stessa città. Le mamme sono spesso le più accanite nel sostenere il sistema. “Almeno Bob porta la biancheria da lavare a casa!” “Perché sua madre è una smidollata!”. Ogni tanto intravvedi qualche papà che di nascosto va a trovare la figlia, che lo rimprovera aspramente per poi a scusarsi davanti gli amici delle debolezze dei propri genitori.

Nel college puoi diventare te stesso, "facendo cose" insieme agli altri. "Fare cose insieme", cinque ragazze vestite allo stesso modo che corrono sulla neve e strada facendo coinvolgono altre a seguirle, un senso di comunità che è insito nella cultura americana, risveglia l'esperienza dell'appartenenza, della solidarietà, dell'amicizia. Prepara alla vita in famiglia e in società più ampie. Richiede un equilibrio che si ottiene con la saggezza.

Quando passeggio per il campus, mi capita di pensare qualche volte alle Magnificent Seven, la squadra americana di ginnastica artistica alle Olimpiadi di Atlanta, 1996: devo a mia sorella Elisabetta il favore di avermi fatto imparare a memoria le immagini di quello che avvenne in quella occasione. Stati Uniti e Russia si giocavano l'oro a squadre nella finale. La Russia era davanti perché era più forte, Dominique Moceanu e Shannon Miller, le americane più talentuose, si erano perse per strada; rimaneva Kerri Allison Strug, la più anziana del gruppo (19 anni); purtroppo, nel salto precedente aveva subito una lesione: era sicuro che con la sua prova, al termine del suo volteggio, si sarebbe fratturata la caviglia. Certo bastava che saltasse, ma per fare quello che poi sarebbe stato definito per sempre the Vault e andare a punti, non devi pensare alle conseguenze: non è qualcosa che puoi fare pro forma, un atto di presenza. Devi fare tutto come se non accadrà nulla, anche se sai che dopo quella rincorsa, dietro quello stacco, ti attendono, per certo, dolore, rinuncia ai frutti di anni di sacrifici e la fine della tua carriera. Dopo uno sguardo alle compagne e all'allenatore che l'aveva esortata a lasciar perdere, era partita di corsa, volteggio, atterraggio con rottura, smorfia-sorriso-smorfia. 9, 712. Le immagini dell'allenatore Bela Karolyi, che la porta via commosso. A fare bene i conti, gli USA avrebbero vinto lo stesso, perché le russe che venivano dopo sbagliarono i loro salti. Ma non si potevano fare conti. Era poco più di dieci anni fa. "Spark-Plug", che ovviamente non potè partecipare alle competizioni individuali dei giorni seguenti, dedica molto tempo alla sua famiglia, al fratello e alla sorella (anche loro dediti alla ginnastica) e ai suoi amici. “I miei genitori mi hanno insegnato ad essere una buona persona e a dare valore all'educazione", afferma quella che oggi e' una bella ragazza di 30 anni, rimproverando una certa freddezza del suo fidanzato in questo campo e nella pratica religiosa (lei è ebrea osservante). La sua biografia dice che dopo "il Volteggio", ha ultimato gli studi alla UCLA; "non potendo gareggiare a livello professionistico nelle gare di ginnastica, ha lavorato come team manager, un ruolo che l'ha relegata dietro le quinte del proprio mondo. È passata a Stanford. Dopo la laurea, ha lavorato come insegnante prima in una scuola elementare vicino San Francisco, poi in una scuola per infermiere nel nord della California. In seguito, nel 2003, si e' trasferita a Washington DC, in 2003. Ha lavorato come staff assistant prima nell'U.S. Office of Presidential Student Correspondence, poi nell'Office of the General Counsel in the Treasury Department, e dal Marzo 2005 fa parte del Justice department's Office of Juvenile Justice and Delinquency Prevention. Nel frattempo, viaggia frequentemente per il paese, nell'ambito di programmio di intervento per giovani a rischio, spiegando loro l'importanza di fare le giuste scelte nella propria vita". Non dimentica la sua storia e le sue vicende e si dedica alla formazione di giovani atlete e coopera con diverse associazioni di beneficenza in campo sanitario. In particolare, se invitata, va a visitare in ospedale bambini che soffrono di gravi malattie. Solo per farli sorridere. Il suo telefono e' facilmente reperibile e i soldi per il viaggio, se necessario li mette di tasca sua. Per questo ha scritto un libro di successo, che è diventato un classico per i bambini americani. Ovviamente si intitola "Hearth of Gold". Per lo stesso motivo, qualche anno prima, aveva pubblicato l'ironico "Landing on My Feet" e aveva girato alcuni spot dove scherzava sulla sua "avventura". Vi suggerisco di rivedere il primo e il secondo salto su YouTube, nella versione di sdemerald.


I freshmen come era Kerri quell'anno a UCLA possono sviluppare alcuni talenti nascosti che nessuno avrebbe mai supposto: vi ricordate la scena finale di Mr. Holland, la ragazza che si sentiva frustrata perche' non riusciva a suonare il suo clarinetto dopo anni di pratica e che diventera' governatore del proprio stato, il contestatario rompiscatole che dopo la morte di un compagno cambia vita... e tutti a suonare o applaudire la Sinfonia Americana del professore che ha dedicato la sua esistenza, con i suoi alti e bassi, a dare una bussola ai suoi studenti. Ho trovato molti giovani studenti disposti a rinunciare alla loro sinfonia personale per formare veri uomini e vere donne, per insegnare loro a camminare con i propri piedi (magari rinunciando alla proprie caviglie).


Non molti sanno che da piccolo Henry Winkler, più noto come Arthur Herbert (!) Fonzarelli, soffriva di dislessia, una malattia allora non facilmente diagnosticabile. Non leggeva bene e cercava di risolvere i suoi problemi scolastici improvvisando in maniera teatrale. Passati alcuni anni, sul set di Happy Days, continuava ad avere problemi con il copione, e questo lo aveva portato a sviluppare una gestualità tutta propria, che lo ha reso famoso in giro per il mondo. Finita la sitcom, si è sposato, e a uno dei suoi figli è stata diagnosticata una seria forma di dislessia. Sottopostosi ad alcuni esami, ha capito che questo era stato il suo vero problema. Da allora, e quest'anno ha compiuto sessant'anni, è diventato un famoso e stimato autore di racconti per bambini dislessici. In ogni americano alberga un senso di riconoscimento verso la comunità che lo ha sostenuto e il desiderio di ripagare chi gli sta intorno, spesso dedicando il suo tempo facendo ciò che sa fare meglio. In questo momento, uno dei bibliotecari dell'università sta mettendo in ordine, nella stanza accanto, la biblioteca del centro universitario in cui abito e che anche lui frequenta, per passione e per amicizia. A questa operazione, che ha riportato alla luce un numero impressionante di libri, nascosti in tutti gli anfratti della casa, dedica il suo tempo libero, che per uno che fa il suo lavoro non è mai troppo, e a turno si fa aiutare da uno dei suoi figli, felici come una Pasqua di partecipare al lavoro che il papa' svolge con tanta passione. In questo contesto sociale, con intorno amici veri, un ragazzo americano risuscita, e veramente non riesci a immaginarti che cosa ti potrà dare. L'America ha queste risorse, e non è solo quella sulla quale questa settimana si interroga Kathleen Deveny nella cover story di Newsweek, ("Girls gone wild") a proposito dell'influenza di personaggi come Paris Hilton (che qui ho il piacere di presentarvi in versione pigiama-party), Britney Spears, Lindsay Lohan (ricordate la simpatica bimba lentigginosa del remake di The Parent Trap?) e Nicole Richie: "They seem to be everywhere and they may not be wearing underwear. Tweens adore them and teens envy them". Ma la vera e cruda domanda è "Are we raising a generation of 'prosti-tots'?"
A chiederselo è una donna, su un settimanale di indiscussa tradizione liberal. "Non c'è bisogno di essere cristiani evangelici né di aver dato il proprio voto a Bush per capire che in America abbiamo perso i nostri valori di riferimento, la famiglia, la morale, la vita, la religione, la giustizia sociale, il diritto, l'amicizia, il senso della comunità e dell'altruismo, la sobrietà", sostiene David Callahan, nel recente The Moral Center (libro discutibile in molte parti, quando si deve stabilire che cosa e' morale), ma molto interessante nell'analisi. Libro anomalo, anche qui, se vogliamo essere precisi, l'etichetta sarebbe "di sinistra liberal", ma siamo ancora costretti a queste appartenenze virtuali?

Spesso proprio gli americani tendono a contrapporre gli estremi, e questo è un dato di fatto, non una fantasia: loro ci hanno introdotto al bipolarismo e grazie a loro molti articoli filosofici, anche in italiano, sono costruiti sulla forma "x versus y". Certo, ogni cultura evidenzia alcuni aspetti del nostro essere umani e magari ne oscura altri. Questo ci dovrebbe portare a riscopire la rilevanza culturale dell'equilibrio, tutto europeo (greco nella sua primitiva intuizione) e cattolico nella pratica reale dell'et...et, combinato con un senso del dono gratuito e della riconoscenza che noi invece abbiamo perso, purtroppo sovente anche in materia religiosa (i Sacramenti sono la fonte della vita cristiana e in un certo senso, poco importa la compagnia cantante - sono il primo a non crederci -; certe volte, però andare a Messa assomiglia a una riunione di condominio, quanto a calore umano). Qui ci si guarda negli occhi, ci si saluta, si partecipa alle vicende altrui, al posto di fare battaglie certe volte molto teoriche, le persone che per qualsiasi motivo non possono ricevere la comunione, vanno in fila a ricevere la benedizione. E vi assicuro che fa venire i brividi percepire come tutta la Chiesa partecipa, pregando, al dolore di chi non può avvicinarsi all'eucarestia. La gente, in genere, non è lasciata sola. Anche perché qui la solitudine sa essere mortalmente squallida e crudele, come quella che ha portato a morti assurde: James Dean, Jim Morrison, Kurt Cobain, Marilyn Monroe, Janis Joplin, Ernest Hemingway, Mark Rothko, Jimie Hendrix, Freddie Prinze, Carole Landis, Elvis Presley, Harvey Firestone, John Belushi, Johnny Ace, Donny Hathaway, solo qualche giorno fa Nikki Bacharach, promettente giovane artista figlia del famoso Burt e di Angie Dickinson (mentre scrivo appare la notizia del probabile suicidio di Anne-Nicole Smith, definita l'erede di Marilyn); che genera personalità schizoidi, disordini dell'alimentazione, in qualche modo tutte le più incredibili patologie registrate nel DSM IV si possono riscontrare in casi concreti tra Hollywood e Manhatthan (John Lennon che non usciva dalla sua camera newyorkese dipinta di bianco, e quando è uscito una volta... ) e che si annida infine dietro le "imprese" delle regine del trash, che ogni giorno hanno bisogno di inventarsene una nuova, per sopravvivere sulle pagine dei giornali. (Per chi fosse interessato, rimando tra gli altri a Steven Stack, Celebrities and Suicide: A Taxonomy and Analysis, 1948-1983 , in American Sociological Review, Vol. 52, No. 3 (Jun., 1987), pp. 401-412). Attenzione che non è la solita storia del rock satanico (ci può essere anche questo, ma dico, che senso ha e con quale criterio l'incantevole Dakota Fanning, attrice prodigio di sicuro talento, dopo I Am Sam, deve girare una scena di in cui è oggetto di sesso esplicito, a dieci anni, con tanto di approvazione dei genitori e tutto rigorosamente riportato su pellicola?) Insomma, c'è un'obbligo culturale di sporcare ciò che conserva grazia e bellezza? In questo caso, la censura o il lamento scandalizzato sono probabilmente una via che è necessario percorrere, anche se rischia di trasformare in eroi alcune personalità deviate. C'è chi lavora in questo senso. L'importante è che stracciarsi le vesti non diventi un abito comodo. Il punto è se e che cosa si può fare in positivo. Quanti oggi emergono in questo paese come Secular Humanists, con l'aiuto della tradizione culturale e religiosa dell'Europa (anche se, e mi dispiace, il protestantesimo del nostro continente è nella maggior parte dei casi più una materia di studio che una pratica religiosa), possono incontrare quella che l'attore Sidney Poitier, nella sua recente autobiografia, definisce "The Measure of a Man", l'unica che garantisce dagli estremismi, dalle chiacchiere, dal trash e dall'autodistruzione. Tuttavia, la scelta non e' tra benpensanti in pantofole e reginette senza biancheria, entrambi ruoli necessari in questo psicodramma collettivo che ha dato dignità letteraria al gossip e valore musicale alle urla da sbronza o crisi isterica. Proprio stanotte ho sognato che un professore di Notre Dame mi chiedeva se conoscevo il personaggio più importante della cultura italiana: Maria De Filippi. Lasciando da parte le patologie personali, i disastri del calcio italiano, i pubblici epistolari dei nostri politici e le scomuniche di San Remo.
La cultura occidentale non è morta; per molti versi vive di una salute fisica invidiabile rispetto alla storia passata: vista da lontano è una vera età dell'oro; agli occhi dello psichiatra appare invece una personalità borderline, insicura a livello umano e spirituale. Grazie a Dio emergono, nelle difficoltà, persone equilibrate, gente capace di guardare in faccia con onestà le persone, di affrontare se stessa, che da peso alle parole e ai comportamenti: gente di carattere. Che rischia sulla propria pelle. Che ha smesso di cercare, perché lo ha trovato, un centro di gravità morale e giorno per giorno cerca di renderlo permanente, con la duttilità della saggezza. Sicuramente, per salvare il mondo, non basta un poco d'amore, non basta passare al "Coke Side of Life", come dice l'ultima pubblicità della famosa bibita.

Dovremmo ricominciare a pensare forse meno in termini di pubblicità virtuale e più in termini di vita reale, perché, come diceil titolo di un bel libro di Chris Goodfrey, right guard dei New York Giants, vincitore del XXI Super Bowl, "That's where I live". La "vera verità", come si dice dalle mie parti, è che dobbiamo tornare a usare il lessico del mondo reale, non quello dei Savoia, ma quello della vita reale, delle persone reali, dei beni reali, delle realtà che si toccano con mano. Le persone sono reali, Dio è reale, e le persone reali stabiliscono relazioni reali, nelle quali "real men do cry", ma anche gioiscono. Da soli è molto difficile realizzare tutto questo, come direbbe il coach di una squadra di football, "stay focus'd", e bisogna rimanere centrati sulle persone, trovare le persone che ti permettono di "rimanere centrati" (Lynn Johnston, erede canadese di Charles Schulz, autore della saga familiare For Better and For Worse). Mi ha colpito che in tutti i numerosi libri che ho citato, gli autori ringraziano nella dedica 1. i genitori per quello che hanno insegnato loro e/o 2. la moglie o il marito per averli sostenuti nella loro impresa.

Io, francamente, tremo mentre scrivo quello che scrivo. Perché penso in termini di realtà e solo in questo modo posso pensa creativamente in termini di speranza. Anche se so che real men do cry. Voi che leggete, liberi di pensarla come volete e di agire di conseguenza.

A mio parere, il college americano è uno degli spazi per una sfida culturale. Non l'unico al mondo. È una sfida che può giovarsi della saggezza europea e ti piccoli atti concreti per non rimanere un'utopia. Per noi e per loro.

P.S.: Il salto di Kerri Strug, preparativi compresi, dura poco più di quindici secondi, la scena "incriminata" di Dakota Fanning più o meno 15 secondi, il video della famosa performance di Paris Hilton dura circa quindici secondi, il tempo umano può avere diverse qualità...


Good Night and Good Luck!

Marco





Le immagini, a parte fonti personali, provengono da Groundhog Day ("Ricomincio da capo"), Napoleon Dynamite, dal settimanale The New Yorker e dallo stupendo Goodbye, Mr. Holland, che è valso l'Oscar a Richard Dreyfuss, ma rimarrà nella mente di molti per le interpretazioni di Alicia Witt, Joanna Gleason, Olympia Dukakis, Terrence Howard, Glenne Headley e William H. Macy; e per una splendida colonna sonora che attraversa l'intera storia americana, impreziosita da Stranger on The Shore di Mr. Acker Bilk. Le previsioni del tempo sono a cura della marmotta Phil; si ringrazia Chris Spellman per l'autorizzazione a pubblicare parte di "A Revolutionary Education", pubblicato lo scorso 24 gennaio sull'Observer, quotidiano dell'Università di Notre Dame. La lista dei primi cento nomi dei bambini americani si può trovare nel sito www.BabyandPregnancy.com. Un sincero ringraziamento per la realizzazione di questa puntata del blog va a Mike Seelinger, a Jeffrey Langan & The Sharks, a Jim McNiff, a Tom Stroka; a Phil Moss, della squadra di Squash dell'università, che mi ha introdotto al mondo dei Rockapella: tutti mi hanno danto spunti preziosi di riflessione, di tutti ho tenuto conto. Non posso citare per nome alcune persone che in questi mesi mi hanno mostrato come volare alto sulle piccole diatribe umane e come il carattere si costruisca proprio nelle piccole cose di ogni giorno).

Come sempre, ma in questo caso in particolare, commenti e integrazioni sono gradite.
Al termine di una partita iniziata in maniera spettacolare dai Chicago Bears, con un touchdown dopo una corsa di 92 yards proprio all'inizio, il Suberbowl di Miami è andato agli Indianapolis Colts, sotto una pioggia battente. Particolarmente apprezzati sono stati alcuni commercials negli intervalli di gioco, specialmente quello della Chevrolet.

Friday, January 05, 2007

Fratello, dove sei?

Una storia strampalata di fine anno...

...dedicata al mio conterraneo Frank Capra, scomparso il giorno in cui compivo venticinque anni e che sessant'anni fa realizzava uno dei film più belli della storia del cinema, e a James Stewart, una persona onesta e sincera, a dieci anni dalla sua morte.

Fratello, dove sei, o meglio, Oh Brother, Where Are Thou?, che per i cinefili (non per i cinofili) è il titolo originale di un film dei fratelli Cohen, con una stupenda colonna sonora, ma soprattutto "liberamente ispirato all'Odissea di Omero", la storia di un ritorno a casa ambientato nelle praterie del sud degli Stati Uniti. Questa domanda è rimbalzata violentemente l'altra notte sulle pareti del mio cervello, spinta da un chimico tsunami di adrenalina, mentre cercavo disperatamente di fare ritorno alla mia, di casa.

Certo, per uno che è stato a New York, Londra, Chicago, Roma, Milano, Palermo, Boston, Parigi, e pure a Partinico, Cesano Boscone e Melide, e che si vanta di essersi perso solo una volta in un tessuto urbano, e quella volta per un evidente intervento della Provvidenza, che cosa volete possa fare South Bend, città così piccola che neanche la si nomina quando si parla dell'Università di Notre Dame che la ospita e che vive solo del ricordo di essere stata il luogo dove si produceva la Studebaker negli anni 50? Per colui che, avendo vissuto fregiandosi per quarant'anni dell'etichetta di "turista umano", che ama fare un biglietto giornaliero per i mezzi quando va in una città nuova per poi saltare da un mezzo all'altro alla ventura, che cosa può rappresentare la "città" di confine tra Michigan e Indiana? Può essere la crisi di mezz'età, la depressione, l'istinto suicida, la perdita di ogni certezza, il naufragio esistenziale, la consapevolezza di essere gettato nell'essere, o peggio ancora... forse il destino mi conduceva al ripido bivio dove Heidegger, Nietzsche, Amleto, Pascal, Dante, Michael Jackson e forse anche Paris Hilton avevano sperimentato l'ebbrezza del baratro esistenziale.


Certo, il mio approccio era stato supponente ma anche sfortunato, se pensate che avevo preso (per sicurezza) la cartina topografica ma quella della città vicina, Elkhart, cosa che contribuito ad incrementare l'entropia del sistema, senza dare nessuna certezza e che pure era un inganno, come si vedrà in seguito pienamente comprensibile. E vabbene che pioveva. E passi pure che era già buio.

Insomma, calmo calmo, tomo tomo, mi recavo alla Messa di fine anno alla cattedrale di St. Matthews, che tutto sembra fuorché una cattedrale al contrario della Basilica di Notre Dame. E in cinque minuti ero lì, prometto. La Messa, per chi non lo ricordi, dura un'ora e come si è visto nei capitoli precedenti, viene cronometrata dal presbiterio. In quel breve tempo si è verificato un fenomeno che mi è capitato altre volte, ma che stavolta, col favore delle tenebre e della pioggia (grazie del favore!) si è dimostrato letale. Prendi la macchina, accendi la radio e ripercorri la stessa strada in senso opposto. Tutto bene. Sono passati cinque minuti ed esattamente al contrario, come il rewind di un dvd, hai rivisto tutte le case, gli incroci, gli edifici degli di rilievo, le strade che avevi incontrato all'andata. L'unico problema è che non eri più lì, cioè là, cioè in definitiva al punto da dove eri partito, casa insomma.
Per questo fenomeno, mi veniva in mente un'unica spiegazione plausibile



Il che poteva essere chiarito nel modo seguente


Cioè, mi trovavo in una dimensione completamente diversa, in un tempo nel quale, percorrendo a ritroso la stessa strada, ero finito in un mondo diverso o magari nello stesso mondo, ma in un'altra data. Sono cose che possono succedere il 31 dicembre. Il mio orgoglio di bussola vivente era salvo, l'unico fatto era riuscire a scambiare di nuovo il tempo con lo spazio, cioè ritrovare la retta via. Di solito si cerca di ritrovare sé stessi a fine anno, questo per me non era più un proposito, piuttosto un'esigenza: che sarebbe successo se a mezzanotte, Cinderella Man non avesse trovato il suo posto nel mondo? La sua Camry si sarebbe tramutata in zucca? E che ne sarebbe stato di lui?

Ovviamente, come in tutti gli esperimenti mentali, non potevo ricorrere a una mappa, cioè in realtà ce l'avevo, ma per sbaglio, leggendo il sottotitolo Indiana, avevo preso la cartina di un'altra città. E ovviamente proprio in quella circostanza avevo lasciato a casa il cellulare. Vabbé, ho sempre l'auto e in fondo sono in una piccola città. Probabilmente, girato l'angolo, troverò un indizio, un nome, una strada che conosco e ritornerò nel mondo che avevo lasciato.
Io ho visto i film americani e cose del genere succedono. Lo stesso commesso di colore che hai incontrato al mattino, ti appare in Ferrari e ti scorta fino al cortile. Insomma, la solita magia americana. Un sorriso beffardo mi appare nel cervello, ma per non dare soddisfazione al solito regista di fine anno, non lo comunico alle labbra. Ma dentro sono più che certo. Infatti, dopo pochi metri, mi imbatto in Ironwood Road, che ho percorso migliaia di volte; l'America è sempre prevedibile, fin troppo magari: subito dopo, ecco il solito incrocio con ai quattro angoli rispettivamente Walgreen's e CVS (due drugstores che vendono anche medicinali, quei negozi che fanno impazzire mia cugina farmacista perché in Italia le ruberebbero il lavoro, e che si spartiscono gli USA, fronteggiandosi proprio sulla linea dell' Indiana...).; e, sui lati opposti, il solito distributore di benzina Marathon e il ristorante Speedway. Sicuro, continuo sulla stessa via e passato qualche altro isolato, un altro nome conosciuto. WoW! Trovo il St. Joseph River, che è sempre il punto di riferimento e lo passo, finché arrivo all'Università dell'Indiana: so di essere a pochi minuti da casa e, dopo venti minuti sono in aperta campagna, nessun segnale. Mi sento tradito, come Tom Hanks dalla FedEx. E non c'è neanche Wilson.

Inversione a U, si torna indietro, fino al famoso crocevia, certo mi sono sbagliato, ho preso la strada per il verso opposto (i cartelli sono posizionati perpendicolarmente e non sul lato della carreggiata) e mi sono confuso, logico. E dopo un po' riattraverso il solito fiume, con il solito ponte con i piloni, le luci della città vicina, rileggo nomi conosciuti, dovrei essere nel downtown e infatti cominciano le tipiche vie del Centro: Main, Center, etc.; adesso, scommetto con me stesso, a sinistra c'è la libreria comunale, e infatti la Library appare immediatamente appena mi volto puntuale come la scoperta di Plutone, solo che al posto di aver scritto St. Joseph, si presenta come la Mishawaka Library: il mio primo pensiero è che abbia cambiato nome da un giorno all'altro; il secondo è che dopo un ora di strada mi trovo praticamente al confine con il Michigan. Cioè dico, il Michigan! Un'altro Stato! Nessuno dubiti della mia ventennale abilità nella guida o della conoscenza della segnaletica o della topografia. E poi ho visto un sacco di film e ho letto tutti i Peanuts. Il sorriso che ancora si aggrappava a qualche sinapsi dentro la mia memoria, attratto allo stesso tempo dalle ire dell'amigdala, e questo provocava un certo mal di testa e una copiosa produzione di adrenalina. Il mio volto a stento riusciva ad evitare l'ira della famosa immagine di Jack Nicholson.

E questo, anche se con difficoltà, mi portava al seguente ragionamento, mentre la Camry andava, incurante dei dubbi del suo nocchiero. Il confine tra Indiana e Michigan, zona definita Michiana (che comprende le quattro città di South Bend; Mishawaka, Osceola ed Elkhart, le cui cartine topografiche sono assolutamente IDENTICHE, e io avevo ovviamente quella di Elkhart, la più inutile) è percorso da un fiume contorto, il St. Joseph, che attraverso un numero indefinito di città, tutte con la stessa struttura urbana, percorse da strade parallele che mantengono il loro nome all'infinito, in direzione est-ovest o al contrario, come avrebbe detto Eraclito. Queste sono Ironwood, Hickory, e tante altre, che a questo punto ritengo attraversino l'intero subcontinente, passino sotto le montagne (Montagne Rocciose e Appalachi, cioè Alpi e Appennini) e probabilmente, arrivate a New York o a Los Angeles si inabissano negli oceani, per riemergere, magari a Vladivostock in corrispondenza con la Transiberiana e a ovest, forse nel Camino de Santiago, in una sintesi cosmica che rimanda probabilmente all'origine dell'universo. Mi trovavo, pur arrabbiato, in quella che viene definita la via della metafisica, cioè ero quasi a casa mia.

Ora, nel tratto che ho avuto modo di esplorare, cioè appunto Michiana, tra le diverse città ci sono quartieri con case tutte uguali col loro bel giardino, che poi, come vedremo magari un'altra volta, sono le vere città, separate da incroci perpendicolari che ripetono nello stesso ordine via via i nomi di presidenti, santi, città e così via. Agli incroci principali ci sono sempre CVS, Walgreen's, Marathon e Speedway. Heidegger mi insegna che la ripetizione inutile del quotidiano è segno di un'esistenza inautentica e la critica di Marx alla economia di mercato , ripresa e corretta oggi da numerosi seguaci che guidano la lotta alla globalizzazione, mi diceva che la strada non era quella giusta. Rischiavo di finire nel vortice del nichilismo, al centro degli Stati Uniti.

La mia batteria interna dava segni di pericoloso esaurimento; mi sono fermato a un McDonald's, forse per dare inconsciamente l'opportunità a un giovane commesso che vi avrebbe trascorso malinconicamente l'ultimo dell'anno, di compiere la sua buona azione e vincere in extremis il premio cortesia. Per essere, è stato gentile, ma mi ha spedito esattamente al punto cardinale opposto, e così, passando di nuovo davanti all'Università dell'Indiana, sono finito in mezzo alla campagna in direzione opposta, quando come Mosé nel deserto pensavo di essere quasi entrato nella Terra Promessa; il sorriso, marinato nel frattempo dall'adrenalina, oramai sprofondato dall'ipotalamo nelle nebbie dell'incubo, si rifletteva impotente in un neurone-specchio di recente scoperta, rivelandosi un ghigno pazzoide e delirante, mentre sotto il St. Joseph scorreva tumultuoso.


Io, però, a differenza di Mosé e del popolo eletto, almeno quella sera, non avevo tradito alcuna alleanza e forse si levavano per me le preghiere che Frank Capra metteva in bocca ai parenti e amici di George Bailey: tanta gente mi vuole bene, anche a distanza per fortuna, più per merito proprio che mio.

I owe everything to George Bailey...
Help him, dear Father.

Joseph, Jesus and Mary.
Help my friend, Mr. Bailey.

Help my son, George, tonight.

He never thinks about himself, God,
that's why he's in trouble.

George is a good guy.
Give him a break, God...

I love him, dear Lord.
Watch over him tonight...

Please, God,
something's the matter with Daddy...

Please bring Daddy back.


Sia chiaro, non mi attribuisco nessuno dei meriti dell'eroe di Bedford Falls, che salvò la città dal bieco Potter

Però, sarà un caso che quelle preghiere, nel film di Capra, arrivano a un misericordioso san Giuseppe (Hello, Joseph. Trouble?); così, mentre già recitavo le mie ultime preci in un auto che col suo cambio automatico andava ormai inesorabilmente alla deriva, quando come James Stewart ero al punto di finire nel fiume minaccioso dedicato guarda caso a San Giuseppe (che peraltro continuavo ad attraversare nella realtà, sapendo che le città che vedevo sullo sfondo, erano oramai solo miraggi), il mio angelo custode mi è apparso, nelle vesti di un benzinaio (Marathon, ovviamente) indicandomi l'unica direzione che mi mancava rispetto alla normale bussola, che avevo perso in tutti i sensi, avvertendomi però che sarei arrivato a casa non prima di tre quarti d'ora: a quel punto, muovevo verso l'Illinois, dopo aver preso prima rispettivamente la via per il Missouri, Michigan e l'Iowa. Va bene che sto al Nord dell'Indiana, però si tratta di Stati veri, cioè tipo Italia, Francia e Germania e passare la vigilia di Capodanno a girare il mondo vi assicuro, non è la cosa più piacevole. Quei tre quarti d'ora d'auto però mi riportavano nella zona in cui l'immaginazione e la realtà si toccano: avevo passato una prova, e la morale, era in parte nelle parole di una poesia che avevo letto proprio quel giorno.


Poco importa se al termine della mia Odissea, le vivande della vigilia erano finite nello stomaco dei Proci, che si dilettavano a guardare una partita di football. Io ero arrivato finalmente a casa.

Home, where my thought's escaping,
Home, where my music's playing,
Home, where my love lies waiting
Silently for me.




La sera stessa formulavo i miei propositi per l'anno nuovo, sicuro di due cose: né il Cielo né il cinema mi avrebbero più abbandonato, se avessi avuto fede in entrambi, in Dio e nei miei sogni, che spesso fanno spesso a gara per superarsi. Vi auguro di aver fatto buoni propositi per quest'anno e soprattutto di non averli già abbandonati. Se lo avete fatto, ricominciate da capo riformulateli meglio.

Good Night and Good Luck!

Marco






Si ringrazia la città di South Bend per essere sempre rimasta dov'era (non rivelerò mai il mio vero errore), e mi scuso con il sindaco della città se la mia storia, o avventura o metafora è avvenuta nella sua città. Ringrazio allo stesso tempo gli abitanti tutti di Mishawaka, Osceola and Elkhart per la pazienza dimostrata.




Le immagini sono tratte nell'ordine da Oh Brother, Where Are Thou? dei fratelli Cohen, da Time Travelling di Kevin Huizenga, e da It's a Wonderful Life di Frank Capra, le parole rispettivamente da It's a Wonderful Life di Frank Capra e da Homeward Bound di Paul Simon.

Wednesday, January 03, 2007

La scomparsa del Natale



Una delle grandi paure degli americani è che qualcuno rubi loro il Natale. Perché Santa Claus (non propriamente o semplicemente la nascita di Gesù), in fondo è roba loro. Perché il Natale e l'America sono fatti della stessa pasta. Qualsiasi American Tune è situato in uno spazio ideale che permette di accordarsi e di reggere una melodia natalizia, per scavarci dentro un canto di Natale, per ospitare un cameo natalizio, o viceversa.
E' come se la tonalità prediletta dai Pilgrim Fathers imponesse di accordarsi con i canti natalizi, una sorta di legge non scritta, che in qualche modo tutti riconoscono.
L'ambiente statunitense è in generale quanto di più natalizio si possa pensare, se si considera che la California o il Texas possono rimandare ai luoghi originari, ma in generale, le città americane, col vestito di Natale, fanno la loro bella figura. Il Natale è la festa che meglio si sposa con l'amore naturale che gli americani nonostante tutto quello che dicono o fanno conservano per la famiglia. I colori prevalenti si intonano alla perfezione con la Festa e quello che manca lo aggiungono le decorazioni delle case (all'interno e all'esterno), alcune decisamente kitsch altre veramente spettacolari: pensate a un presepe in vetro trasparente in movimento davanti a una casa). La neve, quella non deve mancare, anche se quest'anno, essendo venuta prima, ed essendo prevista per dopo, per Natale si è presa le ferie. Ciò che penso forse è che se la Pasqua è culturalmente più valorizzabile in Europa, gli Stati Uniti e forse l'America intera, il Continente appena venuto al mondo, è intrisa dell'atmosfera del Natale. Ma è una considerazione che vale quello che vale. Su questa base, è importante quanto segue.

Gli Stati Uniti, l'ho già detto nel mio primo post, da una settimana prima del Natale hanno un'unica colonna sonora, e le melodie natalizie non ti lasciano mai. Alcune sono geniali incroci di genere, altre sono al limite nenach' io so di che cosa: pensate alla canzone nella quale il bambino scopre che mamma bacia Babbo Natale e rimane sconvolto per questa sorta di adulterio? incesto? arrivando però in qualche modo ad intravvedere la somiglianza tra suo padre un po' più grasso e Santa Claus. A parte i contenuti, comunque, forse da nessuna parte succede che tutt'a un tratto Britney Spears e Hillary Duff, Michael Jackson ed Eminem cedano il passo per una settimana: di fatto non lo fanno, perché incidono il LORO album di canti natalizi (tutti, direi, tranne Eminem). Quando i testi sono in inglese, il risultato è spesso significativo, un po' marziano se Bing Crosby o Dean Martin o Mariah Carey cantano Adeste Fideles in latino.

Quanti film di Hollywood ricordiamo che hanno un tema natalizio, o si svolgono a Natale; dal giorno del ringraziamento, i comics sui giornali subiscono una brusca sterzata e Natale diventa il polo d'attrazione, nel bene o nel male, della narrazione (ricordate le lettere di Natale di Sally Brown? ma anche Garfield, Dilbert, The Far Side, Blondie e Dagoberto, Calvin & Hobbes sono implicati nel caso. Molto diverso è il Natale di TinTin o di Mafalda; anche Topolino e i Muppets si sono adeguati, da queste parti). Detto questo, è un fatto che gli americani hanno paura che gli rubino il loro Natale (il Grinch), che un'altra festa si appropri di Santa Claus (The Nightmare Before Christmas), e quanti, come Linus, confondono Gesù Bambino (almeno nei primi decenni dei Peanuts), con il Grande Cocomero, beh, sono dei settari sovversivi.
Se ci pensate, il Natale che, in mancanza di meglio noi affidiamo a Boldi e/o De Sica, in giro per il mondo (quest'anno, se non sbaglio, nella Grande Mela), è lo spazio dell'eroismo, del contatto di Dio con l'uomo, la venuta degli angeli, il mondo che si capovolge: vi ricordate La Vita è meravigliosa o più recentemente The Family Man o Un amore tutto suo? Le grandi finzioni che portano ai grandi cambiamenti da questa parte del mondo avvengono a Natale, e di solito riconciliano Dio, il matrimonio, lavoro, la famiglia, la comunità e il senso generale della vita... e magari cambiano la vita. C'è gente che a Natale cambia vita: è un fatto, e per questo il Natale è questione di vita o di morte.

Eppure per paura di perderlo, lo statunitense ha inconsciamente seminato il seme della zizzania natalizia assieme a quello dell'abete e del vischio. E poco a poco, senza che nessuno se ne renda conto, l'alberello ha perso la sua forza magica, taumaturgica, lenitiva, riconciliante, per lasciare il posto a...

Quest'anno, negli Stati Uniti, non c'è stato il Natale. Nessuna chiamata al 911 (ricordate la data dell'attentato alle torri gemelle? 911 è il numero nazionale per le emergenze, che tradotto in giorni americani recita undici settembre).

Mi si perdoni se ribatto con apparente irriverenza. Nessuno schianto di aerei e grattacieli. E niente da segnalare ai controlli aeroportuali. Nemmeno un trafiletto sul NY Times o sul Post; vi ho detto, mi pare, che il Bambinello è stato rappresentato, le campanelle tintinnano, le slitte corrono ancora felici. Nonostante tutto, Natale quest'anno non è arrivato, Natale negli USA: ho fatto gli auguri a molte persone, nella settimana tra il 25 e il 31 e la gente mi ha squadrato, realmente stupita. E dire che andare in giro in macchina con i più classici e i più strampalati canti di Natale mi aveva entusiasmato. Eppure il Grinch era stato definitivamente sconfitto (mi sono informato, non ci sarà un sequel, la Zucca non ha divorato la capanna..., nel frattempo ci avevano lasciati nell'ordine l'ex-presidente Ford (sempre destinato a essere subito oscurato) da James Brown e poi da Saddam Hussein (ma questa non è una storia di Natale, e forse un giorno, quando sarò in grado, vi dirò qualcosa in proposito). Quanto al Natale, Oh! Oh! Oh!, , direbbe qualcuno, dove è finito?

Le tracce mi conducono al locale Mall, dove qualche giorno fa ero stato accolto da musichette natalizie che si prolungavano dalla mia Camry fin dentro all'enorme paradiso che nei suoi vari cieli prende il nome di Wal-Mart, HallMark, BestBuy... al contrario del Natale, non ero io a portare, secondo la tradizione, il mio regalo al bambino, come imparato a catechismo, piuttosto ero io a riceverlo il regalo: meglio tardi che mai, è proprio vero che gli Americani sono avanti in tutto. E all'inizio, ricevevo un simpatico omaggio, elettronico, sfizioso o candito. La capanna intanto era mutata in un capannone e tutto era for free, che è il modo americano di dire gratis. E che significa veramente gratis. Da noi le cose o sono dei doni oppure, se sono gratis ma non amore Dei, sono una fregatura. No, il cappellino da baseball me lo regalavano per davvero, il libro di successo pure...

Avvolto dalla musica, varcavo la soglia e qui, per un solo dollaro (e che sarà mai un dollaro, meno di un euro!), potevo comprare un gadget che avevo sempre sognato, chessò la penna stilografica con l'inchiostro tridimensionale, o un set per giocare a basket sulla scrivania dello studio... e poi i mug, cioè le tazzone per il caffè, il te, e quant'altro, con i peanuts, garfield, la caricatura di Bush e altro..., i mug hanno un fascino quasi ipnotico. A quel punto, con due sogni in tasca per un solo dollaro, ero entrato nel sistema natalizio. La musica andava ancora, di sottofondo, solo che mi si era scombinato qualcosa all'altezza del cuore, o dello stomaco, e quel qualcosa metteva a tacere la mia testa... a quel punto, i miei organi interni registravano un salto mortale e cominciavano imperiosamente a chiedere agli occhi e questi al cervello e questo al collo e il collo al resto del corpo di muoversi, di cercare qualcosa che servisse loro, non importa che cosa, tanto con tutte quelle offerte mica saremo andati in bancarotta e poi è bello regalare cose agli altri... il portafoglio, meglio ancora la carta di credito, apparivano disponibili a donarsi spontaneamente, la seconda soprattutto senza provare dolore ("la cosa più dolorosa dello shopping natalizio è firmare assegni, perché non provare la tal carta di credito?" recitava il cartello fuori dal Mall"); separato dal mio corpo monetario, al quale mi sarei ricongiunto alla casa o mentalmente anestetizzato da quel cartellino magnetico indolore eppur così pieno di promesse), avevo varcato le porte automatiche del centro commerciale possedendo me stesso e le mie facoltà, con un contatto di sicurezza con le mie finanze personali, pur esigue, mentre adesso navigavo tra marshmallows (in italiano, toffolette) al caramello e affascinanti set di pesca d'altura, indeciso su che cosa mi servisse di più per l'anno che veniva. Che mi servissero o mi piacessero era oramai fuori da ogni ragionamento. Altro che velo d'ignoranza. Avrebbero dovuto gettarci addosso una coperta, spegnere la luce e riempirci di botte per farci recuperare la mitica razionalità illuministica.
Insomma, un po' aveva ragione Pavlov, quello dei cani, che qui si pronuncia Skinner, che del cane ha il nome, almeno Pavlov fa più padrone. Con tutto il rispetto per i cani. E poi Pavlov non le sapeva tutte. Per esempio che se metti alcuni particolari oggetti uno vicino all'altro, essi acquistano una grande capacità di richiamarsi l'uno con l'altro. Cioè c'è una logica nell'associare piccole cose (che ricorda molto la psicosi dello scommettitore), una moglie può aiutare o portare alla rovina, perciò non è detto che tutti arrivino alla fine del gioco, cioè comprare a rate una mega-macchina, una falciatrice computerizzata o sposare una bellona di Reno (Nevada): non ho visto scaffali per quest'ultimo articolo, ma forse ho saltato qualche passaggio. Insomma, se i grandi imperi sono nati da un cent risparmiato, come mi aveva insegnato il bistrattato Paperone, un cent mi stava costando, senza accorgermene, la mia intera autorappresentazione antropologica: cioè ero un insieme di desideri fluttuanti, che rimbalzavano verso piccole cose, che, aggiunta l'IVA del 6% e messi assieme, facevano la felicità dei cassieri e del mio diavolo custode, che alla fine mi sussurrava beffardo: "Tanto Natale viene solo una volta l'anno!". (Mamma, non ti preoccupare, non ho fatto niente del genere, ma lo sforzo è stato grande, sto risparmiando per la serie completa di Happy Days in dvd; però chi non ha un obiettivo saldo come il mio, facilmente soccomberà all'impero dei piccoli desideri).

E così è arrivato il giorno 25, che per non equivocare, non chiamerò Natale, il giorno dello scambio dei regali. In fondo, la cosa meno importante di tutte, perché sai già quello che riceverai e non hai aspettative oppure non te l'immagini e allora devi aspettare l'indomani...



... giorno 26, il giorno in cui il Mall scoppia perché la gente torna indietro per cambiare i regali, in buona parte perché non gli sono piaciuti, perché non gli servono a nulla, perché era tutto il frutto di uno psicodramma collettivo, oppure perché quel regalo era quello giusto, ma nel giro dei cambi e dei ribassi, magari potevi scambiarlo con uno migliore. Sono tornato per curiosità al Mall su suggerimento di un amico ("vai a vedere, vedi che ti diverti!"). Una folla! E per un dollaro ti beccavi una cosa che due giorni prima ne valeva 50! La musica rimaneva in sottofondo, lo spirito era più battagliero (bisognava accaparrarsi le migliori occasioni, arriva all'apertura e keep the line!) e comunque le cartoline con gli Auguri di Natale, che da buon italiano all'estero avrei comprato dopo Natale a prezzo ribassato erano già state rimosse. Se salutavo con un Merry Christmas, che senso poteva avere rispondere ai miei auguri di Natale, dopo che i regali erano stati restituiti? In Italia rimaneva comunque un Bambino da accudire, qui solo carta da buttare e l'indomani lavorativo (al limite, una vacanza, parola che a differenza della festa richiama un certo vuoto.

La festa dei poveri desideri bizzarri era passata, l'unica è rassegnarsi e attendere il nuovo anno. L'unica cosa da dire è che la Festa che continua era diventata una festa che finisce e che la mia psiche (o il mio spirito) ne avevano risentito, ero rinato a una nuova vita. Mi si perdoni l'ironia, o il sarcasmo... ma effettivamente questo Natale è giunto come dovrebbe ogni Natale, imprevisto, e mi ha cambiato forse più di tanti Natali precedenti.


Capisco allora perché John Grisham si è preso un sabbatico dai suoi legal thriller, per scrivere tre bei libri, uno sulla famiglia e sulla casa, uno sulla scuola e il football, e una deliziosa commedia che si intitola da noi "Fuga dal Natale", qualcosa che forse, imitando la famiglia Krank, in futuro dovremo tentare pure noi.

Per il nuovo anno americano, che arriva sei ore dopo il nostro, almeno in questo siamo avanti, le poche parole che si merita: povera commemorazione! Non mi ha mai attratto molto, forse perché non mi entusiasmano i fuochi d'artificio, ma quest'anno, sarà perché ingloba una determinata concezione del tempo, o perché ti spinge a ripensare la tua vita e a ricominciare, sapendo che sicuramente non non manterrai i tuoi propositi, ma forse stavolta sì, insomma mi ci sono un po' affezionato. Forse è l'età. Qui l'anno nuovo, dato anche che ci sono diversi fusi orari e quindi gli anni arrivano "sfusi": che senso ha vedere il conto alla rovescia a Times Square se a Los Angeles sono ancora le 22.00?, si riduce a una coreografica citazione di un conto alla rovescia che potrebbe accadere in qualsiasi istante della storia del mondo, e a cui non seguono ripensamenti o cambiamenti, solamente pubblicità e magari una registrazione di una partita di football e le ultime nuove dall'Iraq.

Quindi, quest'anno sarei stato in credito di un Natale, se un amico non mi avesse invitato nel bel mezzo del nulla dell'Indiana (ecco, mi si dirà, la solita America conservatrice e rurale, stereotipo che ha una sua storia, una sua verità, e qualcosa di sbagliato), assieme a una valanga di parenti che venivano da tutti gli States, compresa gente proveniente dai quartieri alti delle grandi città, con un bel mucchio di regali in mezzo e una serie di numeri tirati a sorte: chi partiva per primo sceglieva un regalo, il secondo poteva pescare dal mucchio oppure chiedere il regalo di chi lo aveva preceduto e così via... a poco a poco si creavano strategie, personali o familiari, per raggiungere i propri obiettivi. Il bambino che non voleva la torcia a forma di ippopotamo e che faceva di tutto per sottrarre alla zia i soldatini e io con la mia faccia stupita o forse ancora di più perché una signora quarantenne per ragioni di stato mi aveva sottratto la tazza dei Peanuts col pupazzo di Snoopy, per poter arrivare con un giro complicato di alleanze al te thailandese... alla fine ho recuperato la tazza, e ho guadagnato pure una magnifica cravatta con tutti i personaggi di Schulz, che indosserò alla mia prima lezione in Italia e una maglietta di Charlie Brown, cioè quella gialla con le strisce a zig-zag.

Certo, una grande famiglia che si riunisce (e poi rimane a parlare fino a tarda notte, dopo la Messa di mezzanotte, anche se non tutti hanno partecipato), è fatta di gente che non si vede tutto l'anno, che oggi in America ha la stessa coesione in certi casi dei pezzi di lego, che è fatta di famiglie acquisite, di divorzi, di... problemi; e che quindi di anno in anno è un po' rimaneggiata nel suo ordine. Con i problemi di chi, di solito la parte funzionante della famiglia deve gestire, di tizio che non deve vedere caio, di sempronio che deve essere invitato perché è un ex-marito... e del fatto che appaiono d'un tratto nuove aggregazioni familiari, comprensive di relatives e animali inattesi. Un po' come il Natale di About a boy, per chi si ricorda il film con Hugh Grant. In ogni caso, si ricomincia a parlare, si vede qualcosa che non si percepisce stando gli uni a Chicago e gli altri a Boston... e alla fine la gente finisce serena e contenta, più costruttiva. Non è la fortuna di tutte le famiglie, però nel cuore di tante realtà americane c'è qualcuno che fa da collante e che poco a poco riporta la gente a parlarsi, a trattarsi, a risentirsi. No, Natale è arrivato, in buona parte degli States, credo, e non siate pessimisti come i Krank.
Questo è il Natale degli States, un Natale che grazie a Dio e in mancanza di rappresentazioni religiose (quelle americane sono rare, ma deliziose, per il resto si ondeggia tra l'insipido e il cattivo gusto), un natale che per il momento scorre sotterraneo e che non fa rumore, proclamando la fine dei tempi né commemora il suo funerale: strano per la festa di una nascita, no?

Mi rimane impresso il sorriso stanco della nonna, unica rimasta della sua generazione, che guardava tutta quella gente, che ho accompagnato a Messa e che improvvisamente la domenica seguente ci ha lasciati, riunendo di nuovo l'intera famiglia da tutte le parti degli States, perché qui si prende un aereo e si va, proprio come nei film. Oggi, a Messa, ho pregato per questa tranquilla e calma signora e solo ragioni burocratiche mi hanno impedito di partecipare al funerale.

Una sola immagine negativa mi è rimasta in mente di quella sera, ed è quella di un bambino figlio, collocato all'intersezione di due matrimoni sfasciati. Era l'unico a cercare freneticamente il maggior numero di regali e allo stesso tempo visibilmente il più insoddisfatto nel possederli. Non è retorica, ma quel bimbo urlava nel suo silenzio che gli dessero il Suo Natale, il suo miracolo. La sua bisnonna, un giorno, forse lo accontenterà, dubito che al Mall gli restituiscano il Natale perduto, anche se lui ha raccolto più regali di tutti: certe cose, purtroppo, non funzionano in questo modo.

Felice anno nuovo dagli States e allo stesso tempo, Buon Natale.


Good Night and Good Luck



Marco



Le immagini sono nell'ordine Norman Rockwell, rispettivamente
Discovery, e Christmas Rush, e ovviamente di Charles M. Schulz