Saturday, March 14, 2009

Hai trovato l'immagine?



Al momento non ho trovato l'immagine promessa e sono giunto a due conclusioni
Pubblicare una bella immagine pubblicitaria di Dublino (offerta da Coke) e ritornare al mio stile, capitoli di diario, cercando di essere meno prolisso.

Ma attendete un riassunto e una riflessione

Good Night and Good Luck

Marco

Wednesday, March 11, 2009

Retrospettiva


I giorni che ho passato a Dublino li devo a un caro amico, Alasdair MacIntyre, un filosofo di cui si festeggiavano gli 80 anni. Una mente eccezionale, una persona di grande spessore umano, un uomo normale. Un augurio che faccio a tutti i miei colleghi filosofi e nell'occasione ringrazio tutti quelli che ho conosciuto, in questa straordinaria occasione, nella quale abbiamo veramente sperimentato la bellezza della Felsunach (filosofia, in gaelico)

Tuesday, March 10, 2009

Apologies

Purtroppo in questi giorni avete letto solo dei flash sulla mia esperienza irlandese... qualche conclusione arriverà al mio ritorno, dopo un ultimo giro e alcuni colloqui. Spero che alcuni amici irlandesi collaboreranno con i loro suggerimenti.

Quanto alle foto (che mancano nei post di questi giorni), beh verranno inserite in seguito, qui ci sono problemi strettamente informatici.

Intanto domani si torna a casa

per il momento

bye

Marco

Empatia

Mi dispiace. Sono rimasto impacchettato in uno dei più soddisfacenti e rilassanti convegni della mia vita di filosofo. Quindi ho visto molto poco di Dublino, diciamo la sera (forse la notte) con i miei colleghi e la mattina, attraversando la strada tra l’albergo e il campus. La guida del Touring dice che gli irlandesi non rispettano i semafori. È bene però mettere l’informazione nel suo contesto. La guida in Irlanda è in senso inverso al nostro, ergo se non rispettate il rosso, vi beccate una macchina in senso inverso.

La prima sera cercavamo un posto tipico dove andare dal nostro albergo (sottostimato) a tre stelle. Un irlandese ci ha suggerito: cercate un posto con un’atmosfera particolare, buona musica, dove si mangi bene. Certamente. Dieci minuti a piedi. Io comunque sospettavo qualcosa all’ingresso del Radisson Restaurant. Giardino, lungo viale di selciato, facciata enorme in marmo o quel che sia, con colonne, ristorante annesso ad albergo a cinque stelle. Ho provato, mentre eravamo distanti a fare capire che noi cercavamo una cosa “tipo pub”: cibo, musica, atmosfera due stelle sotto le nostre, non sopra. Tre camerieri e il maitre ci aprono la porta e ci introducono in un salone meraviglioso con balconata, affreschi, marmi. Una ragazza in abito lungo suona un pianoforte a coda. Mi sento come nella scena dei Blues Brothers al ristorante. Con la differenza che mi vergogno da matti. Sono rassegnato quando arriva il menu per l’aperitivo. Ragionando in italiano, mi dispongo a seguire la mia compagnia di sventura: pazienza, domani non mangio, ma portiamo la tragedia a conclusione. Invece, dopo l’aperitivo i miei amici americani decidono di andarsene e io sprofondo se possibile ancora più nella vergogna. Uno chiede dove si può mangiare bene a buon prezzo (ma glielo dovevi proprio dire?) Ci indicano il nostro albergo.

Vendetta, tremenda vendetta. Il mio amico americano sembra stanchissimo, sono seriamente preoccupato: provo a capire che sta succedendo, niente, non è possibile, hai sonno?, sì, ma no, c’è qualcosa di più, ma hai mangiato, no, e perché non mangi, mah insomma, infine: non ho i soldi e non voglio chiederli a nessuno. L’italiano che il giorno prima arrossiva scopre che gli americani senza soldi e vie d’uscita possibili, entrano in crisi. Dicono che buona parte della crisi, negli USA, dipende più dalla paura che da una situazione reale. Un americano medio deve essere coperto. Lo copriamo in breve e soprattutto lo facciamo mangiare.

Di ritorno dalla sessione dell’altro ieri, parlo con una collega, siamo fermi su di un’isola pedonale e mentre parliamo di quello che abbiamo ascoltato, una signora, di una certa età si inserisce tra di noi. Siamo presi da un dibattito serrato. Lei si ferma, non attraversa, ci sorride, ci gira intorno, comincia a sorriderci, continua a sorriderci, è la tipica signora irlandese, felice di far piacere a due stranieri, ogni tanto si inserisce tra noi, e sempre sorride. Provo a girarmi, si gira anche lei. Il semaforo scatta più volte, lei non attraversa. Capisco che poveretta ha bisogno di soldi e cerco nella mia tasca. Cerco una conferma nella mia interlocutrice, anche lei in lieve imbarazzo. Quando sto per tirare fuori i soldi, la signora anziana decide di attraversare. Meno male. Si trattava di un’inglese, professoressa emerita. La collega con cui parlavo la conosceva, io no. Ho rischiato la crisi diplomatica.

Insomma, rendersi conto delle cose che succedono intorno sembra essere qualcosa di importante, si impara col tempo. Di una cosa però mi sono reso conto. Paradossalmente, almeno tra noi europei, può essere più difficile. Sembra che siamo la stessa cosa, in realtà forse siamo meno attrezzati a capirci che con un indiano o un cinese. Se dovessi fare una statistica degli equivoci che si generano con noi italiani, direi che possiamo fraintendere con meno facilità (parlando in generale) uno spagnolo, un tedesco, un francese, un inglese... ma questo è un discorso da continuare...

Good night and good luck

Marco

Sunday, March 08, 2009

Teologia della doccia


Mi sono alzato presto stamattina per poter andare a Messa prima delle sessioni del mio congresso dublinese. E non voglio rinunciare alla mia passione per la doccia negli alberghi; quando sono in un albergo, mi faccio un dovere di usare tutte le possibili offerte della doccia: sapone, shampoo, balsamo, schiuma da bagno. Lavarsi con calma, poi asciugarsi lentamente. Phon, e una bella pettinata. Venti minuti ero felicemente seduto in una Chiesa irlandese. La fede di Abramo viene messa alla prova. Dio lo ferma mentre sta per sacrificare Isacco. Isacco prepara il sacrificio di un montone (dopo aver sudato freddo!). Nel frattempo, il Signore promette ad Abramo, a shower of blessings, “una doccia di benedizioni”. Una doccia di benedizioni nel migliore hotel possibile, con ogni comfort. Mi sento un bambino viziato. Grazie a Dio. Quando esco, ha cominciato a piovere. Di brutto. Per ricordare che Dio fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Giusto per ricordare che nessuna doccia terrena è mai perfetta, e per questo non ho mai trovato borotalco in un albergo. Magari in un’altra vita.

Good Night and Good Luck

Marco

Friday, March 06, 2009

Alla ricerca di un'immagine

Le canzoni di Suzanne Vega nascono da un’immagine: che ipnotizza il suo passionate eye, fino a evocare una melodia, che poco a poco muta in una storia in versi, mai prima raccontata. Ci pensavo mentre salivo sul mio aereo diretto a Dublino.

Un uomo, basso e robusto, vestiti semplici, tratti scavati, gli occhi azzurri e sorridenti. Una testa calva e sproporzionata (che fosse un richiamo?); la moglie mi ricorda un cavolfiore bollito con gli occhiali. Lui era il bambino di tante fotografie, faccia rosea, occhi celesti e sfondo azzurro e verde; sicuramente lei aveva avuto le lentiggini. Mi è apparsa la tranquillità.

Il comandante ci informa che Sarah (Sciérah), Emma e Deirdre sono le hostess, cioè le nostre sorelle maggiori: per questo avranno cura dei nostri capricci con polso fermo. Per questo non sono né avvenenti né attempate. Aerlingus è al verde come una famiglia irlandese. Una volta a Dublino, ci salutano e fuggono via, dai loro fratellini. Ieri, la crisi ha colpito duro, il negozio vuoto dice che stanno restaurando, e non chiudendo.

Mi colpiscono le ragazze giovani: è il momento dell’Ultimate Irish Dance Style, vanno cioè le minigonne puffball e accessori vari legati al tema delle danze tradizionali. C’è la moda chiaro, ma nessuna di loro si veste allo stesso modo… ognuna (each one) avrà sempre un qualcosa di diverso, un particolare azzeccato nella gonna nella sciarpa nelle scarpe nel taglio dei capelli, che la rende diversa dalle altre (every one). E raramente con pessimo gusto. La simpatica signora che vende i suoi articoli di tweed, mi comunica che i loro cappelli in patchwork del Donegal sono fatti a mano: nessuno ha mai la stessa combinazione di colori. È il nostro modo di essere isolani, tradizionali e creativi. I colori cambiano quando mutano il sole o le nuvole. Un po’ come i paradossi di Beckett, i contrasti di Joice. Oscar Wilde li fotografava abilmente nei suoi geniali aforismi.

I libri poi sono di carta vera, i librai competenti, i clienti conoscono i classici, sanno leggere e lo insegnano ai figli. What’s your name/, chiede una signora alla cassiera. Thank you, Irma. Qui le librerie, mi dice Bernice Brannigan, non chiuderanno mai. Infatti, quelle “vere”, manco a dirlo, sono verdi dentro e fuori. E questo allontana, se non le difficoltà, almeno le ansie.

Sinèad sa che il tempo passa, che il nonno che fu bambino è saggio, che si sbaglia chi pensa il contrario: tutti, un giorno, torneranno bambini a Cork e Galway, e da lì raggiungeranno Patrick e Columba. Per il momento, si scambiano confidenze (fimmini ccu fimmini) e silenzi (masculi ccu masculi), alla sette della sera, sulla via a casa per la cena. L’ora delle Guinness in comitiva scatta più tardi. In più di un caso, incontro una ragazza che cammina da sola, e si mette a sorridere per i fatti suoi (una a Nassau St. al mattino, l’altra a Drury. Una addirittura saltella per strada, per venti metri buoni. Domando un’informazione a un passante. Grazie! La risposta, inconsueta, è No way! Oh, modo di dire irlandese?, chiedo. No, “modo di dire mio!”

Ho cercato anche ciò che un giorno eroicamente cantò Benigni. La guida del Touring è esplicita sulla difficoltà di trovare bagni a Dublino. In extremis riesco a confutare l’argomentazione al quinto piano del glorioso dipartimento che fu di Berkeley al Trinity College. Una volta dentro il prosaico loculo nobilitato dalla dicitura Gents, il manifesto di un telefono amico mi si para dinanzi: qualsiasi problema, piccolo o grande che sia, loro me lo risoveranno; il servizio è anonimo, gratuito, efficace e effettuato da amichevoli volontari. Benedetta isola, rido tra me e me: forse ho veramente in mente l’immagine giusta: vedremo.

Good Night and Good Luck

Marco

Irish Blood

Per prima cosa devo imparare il gaelico. So che non si pronuncia come si scrive, che ci sono molti accenti diversi a secondo delle contee: io devo puntare al Dob, quello che per lo più si parla nella capitale. Per inciso, il

nome significa “pantano” (lin) “scuro” (Doob), e descrive il fiume Finney che dalla baia si insinua nel porto e divide i quartieri settentrionali da quelli meridionali.

Regola fondamentale: quasi per ogni parola europea servono in genere due parole gaeliche. Ma si nota solo nello scritto, per che si pronuncia molto stretto. Ho tre ore e venti di viaggio per imparare a orientarmi, basta trovare il soggetto giusto all’aeroporto. Roddy Doyle consiglia di individuare un uomo con fisico e faccia da rugbista, moglie robusta con i capelli rossi. Quello che fa proprio al caso mio ha una felpa nera Londondale, occhiali scuri, un po’ Bono. Chiacchera col vicino e io, seduto dietro a lui, trascrivo sul mio moleskine: “séam àg kuworth, ià min nans gwa jough”. Il figlio, anche lui in fila, risponde “uyi pà, tou stéi cont uòll man scas agh huh ke”. Bella lingua, dura ma poetica. Mi sembra di capirla. La moglie parla un po’ di italiano. Anzi, parla proprio italiano. Riguardo i miei appunti, che in realtà rivelano il seguente dialogo: “scciamm accuorte, iaminne guagliò”, e la risposta è “ué, pà, tutte sti contruolle, m’anne scassà”. La sorella mostra alla mamma la carta d’imbarco “ma che significa 28d? 28, davanti?”. “Macché innanze, è arrete”. La figlia commenta saggiamente: “L’aereo è verde. E verde significa speranza”. Speriamo.





Good Night and Good Luck

Marco

Thursday, March 05, 2009

Dublino e oltre

Carissimi,

Screwball è approdato in Irlanda, con il suo piccolo notes. Penso che qualcosa cambierà nel mio approccio con BehBab, adesso non so se è il nome del viaggio o del punto di arrivo... o se è quello di un incrocio delle rotte umane in un grande mare, delle strade sulle terre emerse. Credo che si definirà poco a poco anche lo stile. Ho provato, per esempio, a cominciare a fare domande agli umani, ma sembra che alcuni, forse tutti, non hanno la capacità, l'hanno persa, l'hanno mai avuta, di vedere se stessi, di sapere chi sono, che cosa fanno e perché lo fanno in un certo modo... sembra che siamo così preoccupati di ciò che rende gli altri diversi da dimenticare ciò che ognuno di noi è... per inciso, sono qui per un congresso su un filosofo che ha scritto un libro sull'incapacità delle culture di vedersi per come sono!

Good Night and Good Luck


Marco