Monday, February 19, 2007

2007 Spring Break on Campus: Meltdown and The Rock of Ages





Ho incontrato Charlie Brown...


Il papà è seduto sulla poltrona e legge il giornale e il bambino gli ronza intorno, "papà giochiamo assieme?" "Papà, posso vedere la tv?", "Papà, mi racconti una storia?"
Due killer professionisti, su una vecchia Mustang rossa, si dirigono verso Minneapolis. "Possiamo fermarci un attimo? Ho fame", "Solo un attimo, dài, questo viaggio è noiosissimo e in quattro ore non hai detto una parola", "Il mio stomaco ha bisogno di compagnia..."
"Perché, come sai, il figlio di Lisa, sai quello che una volta è tornato a casa strafatto, ma proprio che non si reggeva in piedi, tanto che sua moglie glielo ha detto chiaro e tondo, se continui così da questa porta non ci entri piu', lei, poi, che se non si beve almeno mezzo litro a colazione..."
"Quello che veramente ti manca è la volontà. La verità è che è proprio nel cervello che sei un perdente!"

In ognuna di queste conversazioni (o monologhi), i silenziosi personaggi di sfondo, pur in situazioni tanto diverse, si volteranno verso colui che parla e inevitabilmente, fissandolo con uno sguardo stanco e allo stesso tempo fortemente intimidatorio, gli diranno: "Please, give me a break!". C'è una e una sola risposta e uno e un solo sguardo, e sono appunto quelli che ho appena citato. "Gimme a break!"

Dopo due mesi di neve, l'urlo dell'America si è levato al cielo, alla natura, agli astri, al Creatore e ha esclamato "Gimme a break!". Basta con la neve, non ne possiamo più. E in università è esploso lo Spring Break, pausa di dieci giorni, non più precipitazioni, sole, temperature al di sopra dello zero. Quello che sembrava un muro incrollabile, in "due giorni due" è scomparso, prima ancora degli spazzaneve, direi che la stessa neve si è silenziosamente e civilmente sciolta al mattino, così, per volontà propria.

"Wake up: hybernation is over!", esclama la tartaruga Verne, ai suoi amici che si risvegliano dal letargo, scoiattoli, opossum (sapevate che gli opossum fanno finta di essere morti se sono in pericolo?), porcospini, procioni, etc. E insetti di ogni tipo. Via tutti, preferibilmente in Florida a stuzzicare gli alligatori o alla propria hometown. Oppure in qualche progetto di volontariato.

Già nell'intervallo del pranzo comunque, pur essendo ancora sotto lo zero, comparivano le prime coppie a fare footing nel campus, senza particolari ammennicoli, rispuntavano al sole gambe e braccia lattee. Il giorno dopo, al tiepido sole di primavera, tra chi giocava a baseball, basket, football, calcio, lacrosse, ultimate freesbee, ho avuto una visione. Ho visto Charlie Brown. Due volte. Ma la seconda era quella giusta.
Il primo Charlie Brown si chiama Charlie Brown, nome piuttosto comune negli States: conosco suo nipote ed è stato lui a presentarmelo, con un sorrisetto assieme beffardo e implorante ("non farmi la solita battuta, please!"). "Questo" Charlie Brown, nonostante la sua ID, era l'esatto opposto del personaggio dei fumetti: persona di successo, quarantacinque anni portati benissimo, molto sportivo, nessuna crisi di identità... Il secondo Charlie Brown si chiama in un altro modo ma nella sua molteplicità identità (Charlie Brown è di fatto un "tipo") e nella sua perenne crisi di identità (non era così nei primi anni, quando Schulz era solo timido, scriveva per un giornale cattolico e non protestante - è un fatto - e non depresso e Charlie Brown era una piccola peste), è identico al "vero Charlie Brown", testa rotonda, indeciso, sensibile, problemi di sonno, etc.

Chi tra noi ha letto tutti i Peanuts in sequenza cronologica, sa che il racconto segue, con qualche piccola variazione (l'introduzione di qualche personaggio, qualche storia secondaria), l'andare del normale anno, scandito dalla scuola, dal campo estivo, dal Natale e dai vari sport, baseball (primavera-estate), football (autunno), hockey (inverno). All'inizio di marzo, Charlie Brown è lì, col suo guantone, in cerca della sua squadra. Un anno, c'è talmente tanta neve che la pedana di lancio è coperta e non si vede nulla, un altro piove a dirotto e la squadra va alla deriva sui guantoni... Charlie Brown è sempre lì, attende l'ennesima stagione in cui tenterà di vincere almeno una partita, e si allena al freddo. Adesso, Charlie Brown è fuori che gioca (tra parentesi, credo che il vero sport di Charlie Brown sarebbe dovuto essere il bowling) e con lui ci sono proprio tutti i personaggi che conoscete dalle più di diecimila strips che ci hanno accompagnato dall'infanzia.



In qualche modo, per inciso, quasi ogni fumetto americano ha qualcosa di tipico e di peculiare che va contro la logica. In certi casi è più evidente, ma a parte i fumetti a sfondo politico, da cui salvo, per genialità e finezza, solamente Pogo di Walt Kelly, devo ammettere che molte strips hanno qualcosa che non funziona o almeno non corrisponde alla realtà che si vede fuori dalla finestra o camminando per strada. In fondo non sono la realtà. Prendete appunto l'intera produzione di Schulz: è composta da splendidi caratteri, fissati nel tempo e nelle caratteristiche (è una scelta che prima o poi ogni fumettista di successo deve fare), ma soprattutto "mentalmente bloccati". A parte una piccola evoluzione iniziale di Charlie Brown, ognuno di loro si mantiene identico per cinquant'anni. Ma in questo non c'è niente di strano: non per niente sono "caratteri". Ciò che normale non è, è che nessuno di loro prende mai una vera decisione, risale la corrente, la critica che tutti fanno a Charlie Brown, di essere "senza carattere", vale per tutte le "noccioline". Ognuna, salvo forse Pig Pen, non prende mai una vera decisione che non sia condizionata dall'ambiente o dal suo modo di essere: è in grado soltanto di essere spettatore dei propri sentimenti e dei propri desideri. Non sto dicendo, ovviamente, che siano personaggi cattivi: C.B. ha fiducia nella gente, ricomincia dopo avere perso, aiuta la sorella, e così via, ma in fondo agisce sempre allo stesso modo, è tremendamente prevedibile nella sua emotività. Tutte le cinquanta volte che ha calciato senza successo il pallone di football di Lucy, e salvo una, è volato per aria, non gli hanno dato un grammo di pazienza. Proprio come uno che vede sempre lo stesso film. E lo stesso vale per Lucy, Schroeder, Linus, Sally, Replica, e così via. Il loro quartiere è quello di emozioni, non importa se vincenti o frustrate, generalmente vale la seconda, di cui loro e noi con loro siamo spettatori. Sono in qualche modo l'antitesi dello spirito vincente americano, amalgamato con un momento di crisi motivazionale della psichiatria, la stessa che probabilmente ha influenzato a lungo Woody Allen, ma trasferita dalla penna di un genio da Manhatthan nel Minnesota, dove sicuramente non è di casa. Ma erano altri tempi, e forse non è un caso se nelle ultime annate, Charlie Brown riesce (spinto, ingannato...) ad avvicinare la ragazza dai capelli rossi (non le parlerà mai, comunque) e a trovarsi inaspettatamente soggetto di due amori (corrisposti), una bambina lo chiama Brownie Charles, e lui non riesce mai a dirle il suo vero nome; l'altra frequesta con lui la scuola di ballo. So che questa idea potrà sembrare balzana ma proviene dalla lettura ripetuta di tutti i Peanuts, assieme a quella delle biografie e interviste principali al loro autore. Pensateci bene, e riflettete sul ruolo terapeutico di Lucy, e all'amore di Linus per il dott. Spock e per miss Othmar (sposata Hagemeyer), e dimenticate per un attimo la sacralità della linea essenziale di Schulz, forse molte cose vi sembreranno possibili.

A pensarci bene, anche Calvin & Hobbes ha una sua peculiarità. L'ambiente in cui si svolge, un suburb, che qui è solitamente un "quartiere residenziale" di famiglie giovani di medio livello economico (a livello più alto, trovate la casa dei sogni oppure la villa cheesy, cioè ricchissima ma di pessimo), di solito abitato da famiglie con più di un figlio, una delle ragioni per cui appunto si muovono dal downtown. Ora Calvin, con la sua tigre di pezza che prende vita è un'anomalia. È un figlio unico in una galassia di famiglie numerose. Il suo mondo è totalmente immaginario, anche se sicuramente è un bambino socievole. Fate i conti: una mamma, un papà, una tigre, una compagna di classe e una maestra. Il resto è immaginazione. Penso che ci sia qualcosa che motivi la scelta, anche se senz'altro il mondo dell'immaginazione, che il depresso Schulz delegava a Snoopy, qui la fa totalmente da padrone e in fondo costituisce la sostanza di una geniale vignetta che ha vissuto per dieci anni solamente. Abbastanza, per il geniale monologo di un ventriloquo.

Così Bill Watterson morì (artisticamente) prima di diventare l'erede di Schulz. Posto che oggi occupa la canadese disegnatrice canadese Lynn Johnston, che ha adottato lo schema più consueto della sitcom e che funziona, con tutta l'ambientazione, il naturale apparire e scomparire dei personaggi, le loro peculiarità, i loro pregi e difetti, continua For Better or For Worse, meritatamente da 25 anni e, assieme a una versione meno incisiva di Blondie e Dagoberto (qui la scelta è di fissare il tempo della vita di una famiglia normale ad un certo punto della evoluzione raggiunta, cioè figli grandi ma ancora a scuola, diciamo il modello Happy Days, quello che da forse più spunti), dimostrando che la famiglia al completo e con i suoi difetti, ma anche con i suoi pregi e peculiarità, rimane nel cuore degli americani. C'è quindi qualcosa di più dello stereotipo Disney o forse Disney ha usato questa visione, magari ingenua, sicuramente rassicurante, ma allo stesso tempo realistica (in For Better or For Worse può non esserci l'happy ending) a cui ogni americano aspira. La stessa che trovate in linea in Leave it for Beaver, e di seguito in Happy Days e Cosby Show (I Robinson).

Rimangono due punti importanti: chi era il Charlie Brown che ho incontrato? La mia risposta è "una sorta di sedimento culturale" che in qualche modo, con la cooperazione del suo carattere, sopravvive in una nicchia del terzo millennio. Il secondo punto è questo: i genitori. In Leave it for Beaver, girato nel 1957, la mamma è la prima casalinga dell'era dell'elettrodomestico. Che ancora deve svilupparsi in tutte le sue forme. La madre di famiglia dunque, deve dedicare tutto il tempo alla cura della casa e della famiglia, e quel poco che le rimane lo dedica (lo ricavo dalla visione) alla lettura di pubblicazioni inerenti alla cura della casa, magari indulgendo alle prime soap operas e poi fondamentalmente perdendo tempo in pettegolezzi con le amiche. È l'angelo del focolare, che ammette candidamente che in casa deve pur esserci qualcuno con un'intelligenza limitata, ma pronta a intervenire per qualsiasi evenienza e per consolare i figli dopo le reprimende paterne. Happy Days recupera venti anni dopo lo stesso periodo, e Marion Ross (o Cunningham, se preferite), ripete June Creaver, ma con ironia, facendo finta di essere la casalinga del Midwest. Pochi hanno raggiunto la capacità di Tom Bosley, nel rappresentare credibilmente il ruolo del padre saggio e credibile. Dopo Happy Days le sitcom subiscono un brusco terremoto. Per quello che qui mi interessa, la mamma ha elettrodomestici molto più efficaci e deve dividersi tra casa e lavoro. La sua intelligenza è cresciuta al pari della sua grinta e del suo tempo, che deve amministrare tra diverse attività. È un periodo in cui entrambi i genitori sembrano non sapere più che pesci prendere (l'unica sitcom che mi sembra si salvi in questo senso è I Robinson) la famiglia non pare più così solida, i problemi sono più complessi... i genitori, come nei Peanuts, sembra si siano ritirati per meditare oppure come il genitori di Calvin sono in paurosa attesa delle domande del figlio: aspettiamo una sitcom per il terzo millennio, nella quale le madri acqustino una posizione più equilibrata. Ma soprattutto attendiamo con curiosità la nuova generazione di padri. Perche se le donne hanno percorso buona parte della strada che le ha portate a quelle che qui ora chiamano il terzo femminismo (non tutta ancora, a molte ragazze pare che rinunciare all'iniziativa privata, per vivere come diceva June, nella "propria caverna, in attesa che il cacciatore procuri il pane per i fili" piaccia), gli uomini spesso pare abbiano perso la forza morale e il compass dei loro nonni, da cui però, quando sono nice guys, hanno ereditato poltrona, tv, giornale e pantofole. Ma devono/dobbiamo lasciarci alle spalle Charlie Brown, e il vecchio prototipo del papà logoro e moralista (come anche quello dell'amico-a-tutti-i-costi-schiavo-e-compagnone. Forse, fare bene il padre, per alcuni versi è più difficile che fare la madre, magari perche le istruzioni per l'uso sono meno evidenti, però le mamme possono darci una mano.


Nonostante il proliferare della letteratura di auto-stima, socializzazione, motivazione o ispirazione, l'americano medio, specie se proviene da una famiglia con problemi, non cerca nei libri ma proprio nella famiglia i suoi riferimenti. E con la famiglia vengono appresso il vicinato, l'amicizia, la pratica religiosa. Non sempre precise, non sempre disinteressate, non sempre sicure, però sono lì. Pensate a Little Miss Sunshine, un condensato di pali di sostegno per la propria vita: il padre cerca di promuovere i dieci gradi del successo, la madre legge letteratura ispirazionale, il figlio divora Nietzsche e non parla, la figlia cicciona sogna di essere Miss America, il nonno si droga e rimpiange il passato, lo zio ha tentato il suicidio dopo una delusione amorosa e le galoppate nelle praterie dei riconoscimenti accademici. Ma è la famiglia che li rimette insieme, ridando a ciascuno il ruolo che gli compete (strano, eh?).
Purtroppo quasi tutti gli attori e cantanti sono in rehab da qualcosa, i pochi normali che si salvano è perché hanno una famiglia stabile che vale più di tanti libri, piani, motivazioni, etc.

Non tutte le famiglie normali sono così, è l'altro flip of the coin e questo lo rimando a dopo Pasqua. Molte famiglie americane sono incredibilmente dissestate, ma in un modo che forse molti di voi neanche immaginano. Prima di venire negli USA, mi chiedevo: ma ha ragione il Papa a dire che aborto e divorzio sono una piaga? Se sono tanto diffusi e riguardano la famiglia, "la cellula vitale della società", e la colpiscono in maniera così diretta, perché non crolla tutto, perché non siamo allo sfacelo? Ennesima prova che la morale se la inventano i preti per soggiogare la gente semplice? Potrebbe anche darsi. Potrebbe essere vero il contrario. Potrebbe essere ragionevole essere fondamentalisti, cristiani o secolari, come si dice qui. Sabato, uno dei temi di un seminario di bioetica a cui partecipavo aveva come tema il caso di una famiglia di sordomuti che decideva di avere dei figli in vitro con la stessa patologia. Il caso era reale. L'incidente che ha ucciso i genitori quando i due figli erano piccoli è documentato, lasciandoli orfani e forse anche qualcosa d'altro. Non penso che la bioetica debba andare avanti a forza di casi che spingono alle lacrime, e mi dispiace usare questo caso: ma lo faccio solo per dire che accanto alla condanna generale (ex post), uno degli insospettabili e più rinomati bioeticisti al mondo commentava: prima di fare queste cose devono passare sul mio cadavere, e recentemente ho comprato un fucile. Nel prossimo futuro sarà il miglior modo per dialogare. Purtroppo, andando a fondo nella conversazione, ho visto che parlava sul serio. Per la nazione o per la tradizione (una tradizione che per fortuna fatico a identificare con il cristianesimo, almeno con larga parte di esso e con il Cattolicesimo, tranne che per pochi casi patologici) dovremo "tornare alle armi".
Sì, penso che siate pronti a mangiare la carne dura dei cow-boy, ma solo se superate un test post-festivo.

Intanto però, vi lascio con la famiglia che funziona: sono proprio fuori dalla mia finestra.



Oh, non vi ho detto della mia casa. Mi sembra di vivere in una specie di Happy Days tutte le volte che ci torno. In sintesi: prato di fronte, prato dietro (backyard). Porch, purtroppo senza sedia a dondolo. La cassetta della posta, quella classica, col numero e la veletta (1127 St. Peter South Bend, per chi usa Google Earth). Piano terra (qui First Floor) con soggiorno (immancabile enciclopedia americana e Great Books, piccola veranda interna, sala da pranzo/studio e cucina in rapida successione). Alla cucina si accede dalla tipica porta laterale, dal lato opposto si scende nel basement. Qui è stato risistemato e ci sono anche delle camere supplementari, per eventuali ospiti di passaggio e un bagno, però alcune stanzette conservano quell'aspetto rustico tipico della cantina con la caldaia che spaventava Macaulay Culkin in Home Alone: il basement spesso non è riscaldato ed è un po' deposito, un po' lavanderia, un po'...tutto. L'accesso è angusto, l'architrave di sbieco (come quella della mansarda), la scala ripida e incredibilmente pericolosa. Può essere, proprio come in Home Alone, un vero campo di battaglia. Dal soggiorno, guarda un po', parte la scala che porta upstairs, stile "Joanie, vai al piano di sopra!", e al piano di sopra ci siamo due stanze, uno studio e io (che condivido una stanza con la mia stanza per non sprecare spazio). Tutto come nei film, arredamento in legno, cassettiera, comodino, scrivania, mega armadio/ripostiglio, due finestre che ancora non riesco a capire bene come si aprono, ma con un'efficace protettura dagli insetti, e bagno. Di mio, ci ho aggiunto libri, gadget vari raccolti nei mie vari giri. Tutta la casa è piena di ripostigli, armadietti, che appaiono dove meno te l'aspetti. La mia stanza è una mansarda, e da una specie di finestrella con uno scorrevole si entra in un sottotetto che sarebbe un ottimo spunto per un racconto di Roald Dahl. La casa ha la sua età, ma porta bene i suoi anni. E di fatto non è diversa da una casa che avete visto in un film degli o sugli anni cinquanta. Non capisco perché, però, sta bene così, mentre una casa italiana sembrerebbe datata, a parità di età. Sarà un'impressione. Comunque, la durata delle case, anche a causa degli eventi atmosferici, è abbastanza limitata e questo spiega perché bastano due mesi per metterne su una: non essendo un esperto, bastano comunque un paio di muri portanti, intorno ci metti una specie di compensato pressato, ci metti il tetto sopra.Ritagli lo spazio per porte e finestre e ce le metti dentro, rivesti il tutto rispettivamente di tegole (dopo aver isolato pareti e tetto) e listelli di legno o plastica, et voilá. Un gruppo di case costituisce un isolato (block: dove le bici dei bambini si devono bloccare) e diversi blocks fanno un neighborood, che ha struttura proprie, tra cui spicca la biblioteca. Ma qui si parla di un'istituzione particolare, che richiede una trattazione a parte.


La mamma lancia la palla da baseball e i bimbi, da otto anni a tre, sono nelle posizioni che possono occupare in ragione della loro età. Mi si stringe il cuore quando vedo il papà che fa da coach (i papà di solito tornano a casa alle 5 per giocare con i figli): due anni fa, appena trentenne, gli hanno diagnosticato un tumore maligno. Un mese in ospedale a Chicago. I due bambini più grandi, il primo aveva gli incubi la notte, il secondo si arrabbiava con Dio quando recitava le preghiere della sera, come solo un bambino sa fare. Ogni mattina, la mamma li accompagnava a scuola e poi partiva per Chicago. Tornava alla sera, per accudire ai bambini. Dopo un mese e mezzo di trattamento intensivo, questo mio vicino che ora è anche mio amico, è stato dimesso. Dopo poco, la ricaduta, più forte. Ricominciavano i viaggi a Chicago, i vicini hanno regalato un'auto nuova alla moglie, perché potesse fare le sue tre ore di macchina in maniera sicura e non con il van di famiglia.
"Papà sta molto male, ma guarirà, se dovesse rischiare di morire, te lo direi per tempo". A questo punto, questa è stata la sincera comunicazione della mamma ai figli più grandi. A volte vedi l'anima affiorare sul viso di una persona. In questo caso era un piccola vibrazione che attraversava di traverso tutta la faccia, e anche se non vedevi nessuna ruga o smorfia, il messaggio era: io amo mio marito, ho cinque figli, sono stanca, il futuro è incerto e io sinceramente non so che cosa fare. Per un attimo, quella vibrazione ha riportato in superficie tutto questo, e poi è scomparsa improvvisamente. Il marito è guarito, sembra definitivamvamente, ma chi può dirlo? "Dio non ci ha abbandonato un solo momento". Neanche adesso, mentre lancia la palla con la piccola in braccio che piange (cosa che forse neanche Joe Di Maggio avrebbe fatto bene). Il mio amico ha ripreso da poco a parlare, perché la chemio gli aveva intaccato le corde vocali, non so se il figlio più grande ha ancora incubi, ma il secondo mi sta insegnando a pregare sul serio. Oltre a insegnarmi a giocare a baseball (poco importa la qualità, gli serve una base).

Nella casa di fronte, un altro vicino prova a insegnare al figlio lo swing del golf. Ci prova da mesi, prima col basket, poi col baseball. Purtroppo il figlio è un Charlie Brown, però è contento che il papà torni a casa apposta per giocare con lui, e comunque il papà non molla.
Diceva Mr. C. nell'ultima puntata di Happy Days (256), quella a cui fa riferimento la foto di sopra (sono le ultime parole, quasi tutto il cast è riunito per il matrimonio di Joanie, e la serie si conclude con questo brindisi, dopo la cerimonia): «I nostri due figli sono sposati adesso e cominciano a costruirsi la vita per conto loro. Io credo che quando questo momento arriva per due genitori, è ora di riflettere su quello che hanno fatto e hanno portato a termine. Marion e io non abbiamo scalato il monte Everest oppure scritto la storia americana. Ma abbiamo avuto la gioia di crescere due meravigliosi ragazzi, di vederli crescere circondati dai loro amici e diventare adulti. Se il Signore vorrà avremo la gioia di vederli educare i loro figli e vi assicuro che un uomo e una donna non possono volere di più. Grazie a voi tutti per aver fatto parte della nostra famiglia: Happy Days!». Tom Bosley, oltre a essere Howard Cunningham, introduce la versione americana di La vita è una cosa meravigliosa. Il cerchio sembra chiudersi...

Dall'altro lato della strada, si gioca a basket, nell'isolato accanto c'è una gara di biciclette. Vicino, due coppie dondolano i piccoli sulle altalene, mentre qualche altro bimbo gioca nella mitica sandpit. Consiglio: se volete fare felice una giovane mamma, preparate la cena per la sua famiglia. Le bimbe, era stato un mio quesito da sempre, fanno proprio LE TORTE CON IL FANGO. E vogliono che le assaggi. È troppo: devo andare a cercare qualcuno da sfidare a biglie sul cemento davanti al garage... c'era una svendita di marbles da WalMart e forse stasera riesco a battere il piccolo Bill...

Good Night and Good Luck

Marco



"Only 273 days left till winter", è quanto la tartaruga Verne mi incarica di dirvi, prima di uscire da casa.

Un ringraziamento particolare ai miei vicini, tutti, e ai tanti papà che tornano a casa per giocare con i figli. Buona Pasqua!

1 comment:

Anonymous said...

Caro Marco, sono ammirato dal tuo splendido diario.
Ammiro questa tua immensa apertura verso la vita, questa tua dispositio ad accogliere ed elaborare tutto ciò che si mostra al tuo sguardo...trasformandolo in lucida, intima e ragionata esperienza di vita.
Che dire...colgo l'occasione per farti i miei più sinceri auguri di una Santa Pasqua.

Mauro Mendula