Tuesday, March 10, 2009

Empatia

Mi dispiace. Sono rimasto impacchettato in uno dei più soddisfacenti e rilassanti convegni della mia vita di filosofo. Quindi ho visto molto poco di Dublino, diciamo la sera (forse la notte) con i miei colleghi e la mattina, attraversando la strada tra l’albergo e il campus. La guida del Touring dice che gli irlandesi non rispettano i semafori. È bene però mettere l’informazione nel suo contesto. La guida in Irlanda è in senso inverso al nostro, ergo se non rispettate il rosso, vi beccate una macchina in senso inverso.

La prima sera cercavamo un posto tipico dove andare dal nostro albergo (sottostimato) a tre stelle. Un irlandese ci ha suggerito: cercate un posto con un’atmosfera particolare, buona musica, dove si mangi bene. Certamente. Dieci minuti a piedi. Io comunque sospettavo qualcosa all’ingresso del Radisson Restaurant. Giardino, lungo viale di selciato, facciata enorme in marmo o quel che sia, con colonne, ristorante annesso ad albergo a cinque stelle. Ho provato, mentre eravamo distanti a fare capire che noi cercavamo una cosa “tipo pub”: cibo, musica, atmosfera due stelle sotto le nostre, non sopra. Tre camerieri e il maitre ci aprono la porta e ci introducono in un salone meraviglioso con balconata, affreschi, marmi. Una ragazza in abito lungo suona un pianoforte a coda. Mi sento come nella scena dei Blues Brothers al ristorante. Con la differenza che mi vergogno da matti. Sono rassegnato quando arriva il menu per l’aperitivo. Ragionando in italiano, mi dispongo a seguire la mia compagnia di sventura: pazienza, domani non mangio, ma portiamo la tragedia a conclusione. Invece, dopo l’aperitivo i miei amici americani decidono di andarsene e io sprofondo se possibile ancora più nella vergogna. Uno chiede dove si può mangiare bene a buon prezzo (ma glielo dovevi proprio dire?) Ci indicano il nostro albergo.

Vendetta, tremenda vendetta. Il mio amico americano sembra stanchissimo, sono seriamente preoccupato: provo a capire che sta succedendo, niente, non è possibile, hai sonno?, sì, ma no, c’è qualcosa di più, ma hai mangiato, no, e perché non mangi, mah insomma, infine: non ho i soldi e non voglio chiederli a nessuno. L’italiano che il giorno prima arrossiva scopre che gli americani senza soldi e vie d’uscita possibili, entrano in crisi. Dicono che buona parte della crisi, negli USA, dipende più dalla paura che da una situazione reale. Un americano medio deve essere coperto. Lo copriamo in breve e soprattutto lo facciamo mangiare.

Di ritorno dalla sessione dell’altro ieri, parlo con una collega, siamo fermi su di un’isola pedonale e mentre parliamo di quello che abbiamo ascoltato, una signora, di una certa età si inserisce tra di noi. Siamo presi da un dibattito serrato. Lei si ferma, non attraversa, ci sorride, ci gira intorno, comincia a sorriderci, continua a sorriderci, è la tipica signora irlandese, felice di far piacere a due stranieri, ogni tanto si inserisce tra noi, e sempre sorride. Provo a girarmi, si gira anche lei. Il semaforo scatta più volte, lei non attraversa. Capisco che poveretta ha bisogno di soldi e cerco nella mia tasca. Cerco una conferma nella mia interlocutrice, anche lei in lieve imbarazzo. Quando sto per tirare fuori i soldi, la signora anziana decide di attraversare. Meno male. Si trattava di un’inglese, professoressa emerita. La collega con cui parlavo la conosceva, io no. Ho rischiato la crisi diplomatica.

Insomma, rendersi conto delle cose che succedono intorno sembra essere qualcosa di importante, si impara col tempo. Di una cosa però mi sono reso conto. Paradossalmente, almeno tra noi europei, può essere più difficile. Sembra che siamo la stessa cosa, in realtà forse siamo meno attrezzati a capirci che con un indiano o un cinese. Se dovessi fare una statistica degli equivoci che si generano con noi italiani, direi che possiamo fraintendere con meno facilità (parlando in generale) uno spagnolo, un tedesco, un francese, un inglese... ma questo è un discorso da continuare...

Good night and good luck

Marco

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