Friday, March 06, 2009

Irish Blood

Per prima cosa devo imparare il gaelico. So che non si pronuncia come si scrive, che ci sono molti accenti diversi a secondo delle contee: io devo puntare al Dob, quello che per lo più si parla nella capitale. Per inciso, il

nome significa “pantano” (lin) “scuro” (Doob), e descrive il fiume Finney che dalla baia si insinua nel porto e divide i quartieri settentrionali da quelli meridionali.

Regola fondamentale: quasi per ogni parola europea servono in genere due parole gaeliche. Ma si nota solo nello scritto, per che si pronuncia molto stretto. Ho tre ore e venti di viaggio per imparare a orientarmi, basta trovare il soggetto giusto all’aeroporto. Roddy Doyle consiglia di individuare un uomo con fisico e faccia da rugbista, moglie robusta con i capelli rossi. Quello che fa proprio al caso mio ha una felpa nera Londondale, occhiali scuri, un po’ Bono. Chiacchera col vicino e io, seduto dietro a lui, trascrivo sul mio moleskine: “séam àg kuworth, ià min nans gwa jough”. Il figlio, anche lui in fila, risponde “uyi pà, tou stéi cont uòll man scas agh huh ke”. Bella lingua, dura ma poetica. Mi sembra di capirla. La moglie parla un po’ di italiano. Anzi, parla proprio italiano. Riguardo i miei appunti, che in realtà rivelano il seguente dialogo: “scciamm accuorte, iaminne guagliò”, e la risposta è “ué, pà, tutte sti contruolle, m’anne scassà”. La sorella mostra alla mamma la carta d’imbarco “ma che significa 28d? 28, davanti?”. “Macché innanze, è arrete”. La figlia commenta saggiamente: “L’aereo è verde. E verde significa speranza”. Speriamo.





Good Night and Good Luck

Marco

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